Il 22 dicembre l'esercito siriano fedele al presidente Assad ha dichiarato di aver riconquistato Aleppo dopo l’uscita degli ultimi ribelli dalla parte Est della città, occupata dal 2012. L’annuncio segna la conclusione delle operazioni militari ma non pone fine al dramma della popolazione, duramente colpita da sei anni di guerra civile e dagli interventi delle ultime settimane.
Enrico Milano, docente di Diritto internazionale di ateneo e presidente del corso di laurea magistrale in Governance dell’emergenza, ha analizzato la complessa e delicata situazione siriana per Univrmagazine.
L’emergenza umanitaria ad Aleppo è l’ultimo frutto dell’albero avvelenato della guerra civile siriana, che ha prodotto, secondo le stime delle Nazioni Unite, più di 250mila morti e circa 11 milioni tra sfollati e profughi. Il perimetro della parte orientale della città controllato dai ribelli, prevalentemente composti da nuclei armati del Fronte al-Nusra, si è andato sempre più restringendo e le notizie delle ultime ore indicano una piena presa di controllo da parte delle forze governative. Il dramma della popolazione civile, da mesi presa d’assedio insieme ai gruppi armati ostili al regime di Bashar al-Assad, è finito sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale grazie alle testimonianze dirette rimbalzate sui social network e alle immagini dell’evacuazione della parte orientale della città proiettate sui telegiornali di tutto il mondo. Un esodo lento e a singhiozzo, condizionato alla contestuale evacuazione di villaggi sciiti presi d’assedio da al-Nusra e nel corso del quale sarebbero stati commessi da forze governative e filo-governative una serie di atrocità; le più circostanziate sono quelle evidenziate dal Commissario ONU per i diritti umani in un comunicato stampa del 13 dicembre, in cui si fa riferimento all’esecuzione sommaria da parte di forze pro-governative di 82 civili il giorno precedente, di cui 11 donne e 13 bambini.
L’inadeguatezza degli strumenti normativi, istituzionali e operativi, attraverso cui l’emergenza umanitaria di Aleppo è stata “governata” al fine di contenere l’impatto sulla popolazione civile, si evidenzia principalmente sotto due diversi profili. Il primo è quello dell’assistenza umanitaria immediata attraverso la fornitura di cibo, acqua, servizi igienici e rifugi sicuri alla popolazione, assistenza che deve rispondere ai principi di neutralità, imparzialità, indipendenza ed umanità. Nonostante la presenza sul campo di diverse agenzie umanitarie coordinate dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari (OCHA), gli aiuti sono stati ostacolati dalle fazioni in lotta. Lo stesso diritto internazionale umanitario, nel suo intento di bilanciare gli imperativi di assistenza umanitaria e le “necessità militari” dei belligeranti, rende di fatto i primi subordinati alle seconde, quando l’assistenza possa interferire con l’efficacia di operazioni militari volte a sottomettere il nemico belligerante.
Il secondo è quello dell’inazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, organo preposto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Nei cinque anni di conflitto siriano, il Consiglio ha fatto da cassa di risonanza per le schermaglie verbali e le accuse reciproche tra Russia e Stati Uniti, non assolvendo ai compiti e alle responsabilità che la Carta delle Nazioni Unite gli conferisce. Non ha esercitato quella “responsabilità di proteggere” le popolazioni civili dai crimini più efferati che l’Organizzazione gli aveva chiaramente attribuito nel 2005, in risposta ai fallimenti della Bosnia e del Ruanda degli anni Novanta. Non costituisce un efficace surrogato la risoluzione 2328 deliberata il 19 dicembre scorso: la risoluzione non è adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta (il Capitolo che riconosce al Consiglio i poteri di intervento diretto ed autoritativo in una crisi) e la richiesta al Segretario Generale delle Nazioni Unite di predisporre una task force di monitoraggio della sicurezza della popolazione civile, “in consultazione con le parti interessate”, appare una “toppa” mal posta e alquanto tardiva. Non può lasciare indifferenti il forte e irrituale richiamo di un Ban Ki-moon a fine mandato che ha parlato davanti al Consiglio di sicurezza di “tradimento collettivo nei confronti del popolo siriano” ed enfaticamente osservato che “la storia non ci assolverà facilmente” per la tragedia di Aleppo.
Enrico Milano
23.12.2016