Aprendo le porte ad appassionati, nostalgici e a semplici curiosi, ieri pomeriggio la sala Farinati della biblioteca civica ha ospitato il primo dei due incontri dedicati al regista Francesco Rosi. A curare le due giornate, Alberto Scandola, docente di Storia e critica del cinema, e Nicola Pasqualicchio, docente di Storia del teatro e dello spettacolo.
Padre del cinema d’inchiesta, l’autore di “Le mani sulla città”, a due anni dalla sua morte, è forse uno degli autori più dimenticati del cinema italiano. È qui che risiedono la ragione e il senso dell’iniziativa promossa dall’università: “Abbiamo voluto ricordare con queste giornate un regista noto per i suoi film politici”, sottolinea Scandola. “Stasera rifletteremo però su cosa intende Rosi per politico”, continua il professore, “non dobbiamo pensare che i suoi siano film sulla politica o sui partiti che hanno fatto il nostro Paese; dobbiamo piuttosto considerarli come uno sguardo sociale, rivolto spesso agli umili, ai miserabili”.
Un autore, Rosi, che ha saputo farsi abile traduttore del potere e del contropotere, del complottismo e del malaffare, della lotta armata e di chi soccombe. Scavare, quindi, con occhio critico fino agli strati più complessi e ingrati del corpo politico-culturale italiano, per poi raccontarli, spogliandosi di bugie e omertà: questo il principio che Rosi non ha mai tradito. Quello che il regista, infatti, dava alla luce è quello che oggi manca ai media; le sue opere cinematografiche rappresentavano una sorta di “anti-media”.
Focalizzando l’attenzione sui giorni nostri, ci si chiede come un autore tanto affamato di verità intellettuale avrebbe commentato la situazione italiana degli ultimi anni. Scandola a tal proposito crede che il regista “si sarebbe impegnato fortemente per far conoscere ciò che i media nascondono; non dimentichiamo che per Rosi il cinema è conoscenza”.
Tra i relatori ed esperti del tema che ieri hanno contribuito a rendere onore alla memoria del regista napoletano, Christian Uva ha ricordato due dei film rosiani più rappresentativi: “Cadaveri eccellenti” e “Tre fratelli”. Docente dell’università Roma Tre nonché uno degli studiosi più poliedrici del settore, Uva ha voluto ricordare il modo in cui Rosi sapeva raccontare il potere e il contropotere con registri e toni diversi, ma sempre modellandosi alla perfezione sul terreno dissestato qual era l’Italia degli anni ’70. Un’eco nostalgica alle origini e ai padri simbolici, e biologici se vogliamo, risuona poi in “Tre fratelli” dell’81, analizzato da Stefania Parigi, docente dell’università Roma Tre. A inquadrare Rosi nel suo ruolo di sapiente sceneggiatore, è intervenuto poi Giaime Alonge, docente dell’università di Torino.