Si riporta la relazione del rettore Nicola Sartor in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2017/2018.
Autorità, colleghe e colleghi, care studentesse e cari studenti, signore, signori,
Desidero innanzitutto esprimere gratitudine per la vostra presenza a questo solenne momento della nostra vita accademica. Per noi è importante poter condividere sia il resoconto delle attività svolte, sia alcune riflessioni su aspetti controversi che riguardano l’intero sistema universitario italiano. Si tratta del reclutamento dei professori e della programmazione dell’accesso agli studi.
Articolerò pertanto la mia relazione in tre parti.
La prima, quella più densa di dati, riguarda per l’appunto le principali azioni condotte nel nostro ateneo.
Nell’anno accademico appena trascorso si è completata, con l’approvazione ministeriale, la riforma dello Statuto preannunciata nella relazione dello scorso anno. La principale innovazione consiste in un ritorno alla tradizione democratica italiana, per quel che riguarda il governo dell’università. Prima della riforma cosiddetta “Gelmini” del 2010, tutti i presidi delle facoltà partecipavano al Senato accademico. Abolite le facoltà, l’ateneo ora si articola in 12 dipartimenti: a partire dal prossimo ottobre, tutti i direttori di dipartimento, non solo una loro rappresentanza, siederanno nel Senato.
In attuazione del piano strategico per il triennio 2016-2019, gli organi dell’Ateneo, i dipartimenti e la direzione generale hanno perfezionato il modello di assicurazione della qualità nella gestione delle attività istituzionali. Sono stati cioè avviati processi virtuosi in cui, in una cornice unitaria d’ateneo, ogni struttura è tenuta a individuare i propri obiettivi, a definire le azioni per raggiungerli e a monitorarne l’avanzamento in modo da intraprendere, se necessario, azioni correttive.
L’attività progettuale di messa a punto del modello proseguirà nel prossimo futuro e sarà finalizzata a garantire la coerenza tra obiettivi degli organi centrali e delle diverse strutture accademiche e di servizio.
Può sembrare banale, ma va tenuto in debita considerazione il fatto che il sistema universitario italiano solo nell’ultimo decennio ha iniziato a programmare il proprio sviluppo e a porsi obiettivi di medio e lungo periodo. Non è per nulla facile realizzare un sistema decisionale e di governance imperniato su numerosi soggetti (organi centrali, dipartimenti e scuole) che per ciascun ambito istituzionale di loro competenza sia coerente in tutti i suoi aspetti – strategici, organizzativi e finanziari – e nei tempi di deliberazione e di realizzazione.
L’azione ha riguardato anche la struttura tecnico amministrativa, che sta mirando a migliorare l’efficienza gestionale e a sviluppare e investire nella professionalità del personale. A tal fine, sono definiti ruoli e profili organizzativi attraverso l’analisi delle competenze richieste e dei fabbisogni formativi. Oggi per erogare dei buoni servizi le competenze richieste sono sempre meno di tipo giuridico-burocratico e sempre più di tipo manageriale, di capacità di problem solving, di capacità di lavorare in gruppo, di capacità progettuali e comunicative.
Occorre dare atto al personale del buon spirito di adattamento al cambiamento e delle nuove energie che ha saputo mettere in campo. Nelle fasi iniziali di un cambiamento organizzativo è fisiologico che si incontrino difficoltà. È lo spirito con cui le si affrontano che determina il risultato. Al personale va un particolare ringraziamento e riconoscimento anche perché, non dimentichiamolo, l’ultimo contratto di lavoro collettivo nazionale risale al 2006 ed è relativo al periodo 2006-2009. Non solo quindi le retribuzioni sono ferme da molti anni, ma il loro valore reale nel frattempo è diminuito.
Se da un lato i vincoli normativi non hanno consentito il rinnovo del contratto di lavoro, dall’altro questo Ateneo ha completato con un anno in anticipo rispetto agli impegni assunti il percorso di stabilizzazione del personale tecnico-amministrativo a contratto. È stato inoltre varato un piano di nuove assunzioni a tempo indeterminato, da poco avviato. Con il completamento del piano sarà possibile attivare 34 nuove posizioni in organico, ognuna caratterizzata da specifiche professionalità. Il programma prevede, inoltre, il potenziamento del ruolo dei tecnici laureati di laboratorio a supporto della ricerca scientifica con complessive 9 ulteriori posizioni.
Anche per il comparto del personale docente sono stati deliberati, nonostante il perdurare delle limitazioni sul turn-over, rilevanti piani di sviluppo a noi consentiti dal Ministero in misura più ampia rispetto alla media nazionale in virtù della performance nell’attività di ricerca e dei positivi risultati di bilancio di cui si dirà a breve. Da segnalare, la chiamata diretta quale professore associato di 1 vincitore del bando di ricerca comunitario “E.R.C.” e di un ricercatore assegnatario della borsa comunitaria “Marie Curie”.
Va anche segnalato l’ampliamento dell’organico di esperti di malattie infettive, in seguito alla chiamata diretta dall’estero di una professoressa di prima fascia e a una convenzione stipulata con l’ospedale Sacro Cuore – Don Calabria di Negrar, attraverso la quale l’ospedale finanzia per 15 anni la posizione di un professore associato.
Nel complesso, per gli anni 2017-2018, il piano di reclutamento riguarda 156 posizioni di docenti e di ricercatori. In particolare, prevede l’assunzione di 58 nuovi ricercatori, di cui 7 con finanziamento esterno.
Rilevanti sono anche gli sforzi richiesti ai dipartimenti per identificare il loro sentiero di sviluppo. Grande è la nostra soddisfazione per il riconoscimento, da parte dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca, del profilo di eccellenza riconosciuto a 9 dei 12 dipartimenti. Ciò consentirà, tra l’altro, di competere per l’ottenimento di fondi ministeriali straordinari finalizzati allo sviluppo delle loro attività.
L’università di Verona ha chiuso il proprio bilancio con dati assolutamente positivi, sia in termini economici che patrimoniali. In particolare, l’utile di esercizio registrato nel 2016, di poco inferiore a 19 milioni di euro, ha consentito di rafforzare i piani di potenziamento delle infrastrutture per la didattica e per la ricerca.
Dal punto di vista immobiliare, si è recentemente concluso l’acquisto dalla Provincia di Verona di una porzione di villa Eugenia in San Floriano, che consentirà il potenziamento delle attività didattiche e di ricerca nel campo della viticoltura e dell’enologia.
È stato inoltre aggiunto al piano edilizio triennale il progetto di un edificio (cosiddetto “Biologico 3”) che amplierà la dotazione di aule, di spazi studio per studenti e di laboratori della Scuola di Medicina e Chirurgia. Si tratta di 5.000 metri quadrati disposti su cinque piani per un investimento di circa 10 milioni di euro. Nel complesso, il piano edilizio triennale prevede investimenti e interventi di manutenzione straordinaria per oltre 90 milioni di euro.
Stiamo realizzando il potenziamento delle attrezzature per la ricerca. Nell’anno appena trascorso sono stati stanziati 2 milioni di euro a favore del Centro piattaforme tecnologiche, che mette a disposizione grandi attrezzature scientifiche in modo tale che queste possano essere fruite da tutti i ricercatori, indipendentemente dal dipartimento di afferenza. Altri 2 milioni saranno stanziati nel 2018. È stato ampliato anche l’organico del personale tecnico, indispensabile per garantire il funzionamento delle stesse. Inoltre, gli spazi destinati ad ospitare le piattaforme saranno a breve incrementati, con grande beneficio per le attività di ricerca in campo biomedico, grazie a un accordo con l’Azienda ospedaliera universitaria che desidero ringraziare per la collaborazione.
Sul fronte dell’internazionalizzazione, un rilevante impulso deriverà dall’azione Marie Curie denominata “Cofund” facente parte del programma comunitario Horizon 2020. La Commissione europea finanzierà 14 borse di dottorato con l’obiettivo di promuovere l’eccellenza nella formazione alla ricerca internazionale, intersettoriale e interdisciplinare, riservate a giovani comunitari e a italiani che negli ultimi anni hanno svolto all’estero i loro studi. Il progetto prevede un costo complessivo di oltre 2 milioni di euro, cofinanziato in parte con fondi comunitari e in parte dal nostro Ateneo, che si è potuto avvalere di un rilevante contributo della Regione del Veneto. Sulla base del bando comunitario, quanto mai competitivo, sono solo due i progetti italiani finanziati: il nostro e uno dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. L’ateneo veronese è pertanto l’unica università ad aver ottenuto questo riconoscimento per un progetto che porterà, tra l’altro, significativi contributi alla realizzazione della cosiddetta “Smart Specialisation Strategy” della Regione del Veneto, con impatti positivi sul grado di innovazione del territorio. In tema di dottorati di ricerca, il nostro ringraziamento va anche alla Fondazione Cariverona e al Banco Popolare per il loro costante sostegno.
Sempre in tema di ampliamento della dimensione internazionale, i corsi erogati interamente in lingua straniera sono saliti a 8: a quelli già attivi negli anni precedenti si sono aggiunti “Science and technology of Bio and Nanomaterials” interateneo con Ca’ Foscari e “Comparative european and non-european languages and literatures”, con l’Universidade da Coruña. Quest’ultimo accordo prevede anche il rilascio del doppio titolo, italiano e spagnolo.
Da ultimo, ma non certo per importanza, desidero ricordare la riduzione dei contributi chiesti agli studenti. I risultati di bilancio hanno consentito all’ateneo di strutturare il proprio sistema di contribuzione in modo tale da andar ben oltre le novità introdotte dalla legge di bilancio per il 2017, che impone sistemi di agevolazioni a favore degli studenti rientranti nelle fasce di reddito più basse. L’ateneo ha ampliato la platea di beneficiari, premiando tutti gli studenti in possesso dei requisiti di merito, anche se con redditi superiori alle soglie determinate dal Parlamento.
La riduzione, abbinata ad un sistema più semplice e comprensibile rispetto al precedente, coinvolge complessivamente più di 18.500 studenti: oltre l’80% degli iscritti all’Università di Verona, che pagheranno meno rispetto all’anno scorso. Il dato si contrappone a circa il 35% degli iscritti che nello scorso anno aveva ottenuto un’agevolazione. L’impegno finanziario per l’Ateneo non è di poco conto: la riduzione annua di gettito è pari a circa 1,5 milioni di euro.
Purtroppo, anche nello scorso anno la nostra Comunità ha subìto la perdita prematura di Colleghi in servizio e di studenti. Desidero ricordare, tra i docenti, Antonio Borghesi e Corrado Vassanelli. Tra il personale amministrativo, Lucia Didoné e Lorenzo Smanio. Tra gli studenti, Andrea Leone Varalta.
Con il ricordo di coloro che hanno fatto parte del nostro Ateneo, vorrei passare ad esprimere qualche considerazione su due questioni generali che riguardano il sistema universitario nazionale. Si tratta di temi che periodicamente affiorano nel dibattito pubblico come oggetto di discussione e di polemica: le procedure di reclutamento e la questione relativa agli accessi all’università.
Vorrei inizialmente citare in proposito quanto ha affermato la ministra Valeria Fedeli durante la giornata di discussione sull’università italiana tenutasi lo scorso 10 novembre, “L’interesse – talvolta quasi morboso – che l’opinione pubblica ha rivolto all’università si è concentrato sulle patologie, non sulle buone pratiche, sui pochi mali più che sulle tante virtù che il sistema italiano può legittimamente vantare.”
Il mio intento è quello di fornire qualche argomento che possa suscitare una riflessione collettiva su questi temi in modo approfondito e non polemico.
Ritengo non più procrastinabile il tempo della parresia. Ossia penso sia necessario ‘parlar chiaro’. Cercherò di farlo con un linguaggio che intende rivolgersi anche al pubblico cittadino e non solo agli addetti ai lavori, che ben conoscono le tecnicalità delle cose universitarie.
Il reclutamento dei professori universitari
Il reclutamento del personale accademico è stato oggetto di diffuso sentimento di scontento e talvolta di scandalo per alcune notizie di cronaca che hanno interessato anche la magistratura.
Vorrei intanto premettere che, all’interno del sistema di istruzione, la docenza universitaria si caratterizza per svolgere anche attività di ricerca.
Il sistema anglosassone, cui spesso si fa riferimento per indicare comportamenti virtuosi, prevede che la selezione di chi ha i titoli e le attitudini per fare ricerca universitaria avvenga attraverso la cooptazione. I dipartimenti, frequentemente attraverso commissioni ristrette interne, scelgono i soggetti con le specifiche competenze richieste. Tali scelte, che nel contesto italiano verrebbero definite discrezionali, se non addirittura arbitrarie, sono inappellabili. Nel mondo accademico anglosassone, qual è l’elemento che assicura che le scelte siano virtuose? Il fatto che i dipartimenti e i singoli ricercatori che lo compongono siano periodicamente valutati in funzione della qualità e della rilevanza della ricerca prodotta. La valutazione, a sua volta, determina il livello di finanziamento che sarà ottenuto e la capacità di ottenere commesse per lo svolgimento di nuove ricerche. Se si sceglie un ricercatore mediocre o di scarsa capacità produttiva, si viene penalizzati in termini di sotto-finanziamento. Una catena di errori può portare alla chiusura del dipartimento.
Il nostro sistema, possiamo dire, “coopta mediante concorso”. Si tratta di un evidente ossimoro. La necessità di utilizzare la tecnica del concorso per accedere ai ruoli pubblici è stabilita dalla nostra Costituzione e in quanto tale va rispettata.
Nel corso del tempo, in Italia si sono succedute svariate modifiche legislative relative al reclutamento, che hanno stabilito diverse procedure nel tentativo, a nostro giudizio destinato a perenne frustrazione, di individuare le “perfette” modalità di svolgimento di un concorso.
Rispetto al passato, la situazione attuale presenta in alcuni casi complicazioni (a nostro giudizio inutili) ma anche netti miglioramenti, introdotti al fine di contemperare l’obbligo di svolgere un concorso con l’esigenza di affidare il criterio di giudizio al dipartimento che ha espresso la necessità di dotarsi di un certo profilo professionale (la cooptazione cui prima si faceva cenno). In estrema sintesi, l’accesso al ruolo iniziale della professione, quello dei ricercatori a tempo determinato, avviene attraverso un concorso che poco si discosta dal passato. Per i ruoli successivi, di professore associato e ordinario, la selezione comporta una duplice valutazione. È innanzitutto necessario ottenere l’abilitazione scientifica nazionale, attribuita da un’unica commissione per ciascun settore disciplinare. Il possesso dell’abilitazione è condizione necessaria, ma non sufficiente, per ottenere un posto di ruolo. L’abilitazione consente infatti di partecipare ai concorsi indetti a livello locale da ciascun Ateneo, attraverso un bando in cui si illustra il profilo del candidato del cui posto un dipartimento, mediante l’Ateneo, fa richiesta. Una commissione, composta in maggioranza da professori di un altro ateneo, è incaricata di valutare i candidati ed esprimere giudizi.
Questa commissione di concorso non proclama un vincitore, bensì presenta al dipartimento una rosa dei candidati che reputa idonei. È al dipartimento che spetta il compito di scegliere il vincitore, secondo le proprie esigenze scientifiche e didattiche, descritte nel profilo già illustrato dal bando, e tenuto conto dei giudizi espressi dalla commissione.
A titolo esemplificativo, se la necessità del dipartimento è quella di sviluppare o rafforzare la ricerca filosofica sul pensiero politico contemporaneo, il dipartimento stesso ha il diritto di proporre la chiamata del candidato esperto in questi temi anche se la produzione scientifica del candidato specializzato sul pensiero politico dei pensatori classici è superiore.
Il predetto sistema, se ha reso più vicina alla cooptazione la procedura di concorso, può comportare il verificarsi di alcune situazioni che, in altre organizzazioni, verrebbero definite inutilmente complesse, perfino suscettibili di produrre risultati non coerenti con gli obiettivi perseguiti. Per esemplificare situazioni che, a una analisi superficiale, potrebbero apparire come “sospette” di illegittimità, è utile richiamare l’ipotesi di un trasferimento da altro ateneo, senza avanzamento di ruolo. Anche in questo caso è necessario bandire un concorso cui può partecipare qualsiasi persona in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, mentre un tempo era sufficiente l’accordo tra le parti interessate.
I docenti potenzialmente interessati usualmente acquisiscono informazioni sugli obiettivi perseguiti da chi ha emanato il bando. Sovente, alcuni, pur avendo titolo per partecipare al concorso, non vi partecipano, condividendo le finalità dell’ateneo che ha emanato il bando. Si può manifestare, quindi, una unica candidatura. Altrettanto sovente, emerge il sospetto che la procedura sia viziata da pressioni informali messe in atto.
Non possiamo certo escludere casi patologici, meritevoli di indagine da parte della magistratura. Allo stesso tempo, sarebbe ingiusto definire tutti questi casi come patologici. Al contrario, rappresentano soluzioni efficienti, anche se informali, rispetto a procedure inutilmente complesse.
Il tema del reclutamento nel sistema universitario è stato più volte affrontato anche in sede Comunitaria. La Commissione (Comunicazione del 2012 sullo “Spazio Europeo della Ricerca”) invita gli Stati Membri a “rimuovere le barriere legali e di altro genere che impediscono l’applicazione di un reclutamento aperto, trasparente e basato sul merito”. A tal fine, invita ad utilizzare la leva finanziaria (premialità) a valle di una rigorosa valutazione dell’impatto che il reclutamento effettuato ha avuto sulla performance dell’ente.
Una ragione che veniva opposta alla introduzione del principio di cooptazione anche nel nostro sistema universitario sembrava essere costituita dall’assenza di adeguati incentivi e garanzie idonee a evitare scorrettezze e arbitrii. Ciò poteva essere vero alcuni anni fa, ma ora mi pare di poter affermare che tali obiezioni non siano più fondate e adeguatamente veritiere poiché la situazione sta cambiando in seguito all’istituzione dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (A.N.V.U.R.) e alla periodica valutazione della qualità della ricerca (cosiddetta V.Q.R.). La crescente enfasi che il sistema universitario pone alla valutazione ex post dell’attività di ricerca fa sì che, in prospettiva, l’esistenza di un sistema premiale produca effetti ben più virtuosi di qualsiasi procedura formale messa in atto al fine di evitare scelte orientate da criteri diversi dalla meritocrazia. È, però, di fondamentale importanza che il sistema premiale non venga messo in discussione dal Ministero.
Con riferimento alla nostra Università, se guardiamo agli esiti delle procedure di reclutamento dei docenti, si rileva che nel triennio 2014-2016 l’ateneo ha reclutato complessivamente il 33 per cento di docenti provenienti dall’esterno o da altri atenei, superando di gran lunga la soglia minima del 20 per cento stabilita dal Ministero. I nuovi assunti o promossi nel periodo 2011-2014 hanno avuto una produzione scientifica VQR valutata migliore della media della loro area in 7 casi su 13, in linea con la media di area in 5 casi su 13 e solo in un caso su 13 inferiore alla media.
Anche con procedure complesse, il reclutamento realizzato nel nostro ateneo è stato quindi condotto nella direzione del merito e del valore scientifico.
L’accesso agli studi universitari
Anche l’opportunità e la legittimità di limitare numericamente l’accesso agli studi è oggetto di dibattito nazionale e dell’attenzione della magistratura amministrativa. Il tema può essere efficacemente riassunto nel seguente dilemma: “diritto allo studio” o “diritto all’iscrizione”?
Non è superfluo ricordare che la nostra Costituzione prevede all’art. 34 che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”
Nella concreta realtà non viene pienamente attuato né l’esercizio del diritto allo studio – a causa della limitatezza delle risorse destinate a borse e ad assegni – né l’accesso ai capaci e meritevoli, a coloro, cioè, che potrebbero frequentare l’università con profitto, essendo in possesso delle capacità potenziali e delle conoscenze minime adeguate.
Il nostro sistema universitario non ha ancora completato la lunga – eccessivamente e inutilmente lunga – transizione, iniziata negli anni Settanta, allorché si concesse l’iscrizione a qualsiasi corso di laurea a chiunque fosse in possesso di un diploma di scuola media superiore di durata quinquennale.
Noi vogliamo rimanere un ateneo tradizionale, laddove per tradizione e per missione intendiamo l’offerta di un percorso universitario vissuto da studenti e docenti in compresenza fisica nei luoghi deputati. Riteniamo che le università telematiche o i cosiddetti “MOOCS” (Massive on line open courses) non possano costituire un percorso formativo completo. Il percorso universitario si caratterizza per l’interazione tra studenti e docenti, per la frequenza delle lezioni che consente, tra l’altro, di approfondire, anche in modo informale, i temi trattati nelle lezioni. Allo stesso tempo, sempre più è chiaro tra gli stessi studenti, ancor più tra i potenziali datori di lavoro, che il valore della laurea non consiste nella validità legale del titolo di studio, ma nella concreta acquisizione di conoscenze, di competenze, di metodi di apprendimento e nella capacità di riflessione critica. L’esperienza universitaria non può ridursi allo studio individuale e al periodico sostenimento di esami di profitto.
Ebbene, se condividiamo questa visione dell’università, dobbiamo al contempo renderci conto che il sistema universitario è un sistema a capacità finita. Dobbiamo disporre di un adeguato numero di docenti, di aule e di laboratori, di personale tecnico e amministrativo, di infrastrutture bibliotecarie. In un condivisibile sforzo nell’assicurare standard qualitativi minimali uniformi su tutto il territorio nazionale, il Ministero negli anni ha progressivamente introdotto una serie di criteri per verificare l’esistenza di un corpo docente minimo in ragione del numero di iscritti e di una adeguata disponibilità di aule. In assenza del rispetto di tali requisiti minimi, il corso di studi non può essere attivato. Si tenga conto, per inciso, che a tali norme si è sovrapposto il blocco del turn-over che, negli ultimi dieci anni, ha determinato una riduzione del corpo docente di oltre il 15 per cento (quasi 10 mila unità in meno). Per quanto riguarda le infrastrutture edilizie, si aggiunga anche la necessità di rispettare le norme, sempre più stringenti, in tema di sicurezza e prevenzione. Non è quindi più immaginabile che le aule siano sistematicamente sovraffollate.
Per chi deve gestire un ateneo, sarebbe irresponsabile limitarsi a lamentare la crescente insufficienza di risorse. È, invece, necessario individuare soluzioni che consentano di rispettare le norme e, al contempo, non generare effetti negativi rispetto all’obiettivo nazionale di aumentare il numero di laureati.
La programmazione degli accessi si lega strettamente alla questione dell’orientamento in ingresso e alla verifica del possesso dei cosiddetti saperi minimi, nell’interesse – individuale e collettivo – di evitare che giovani sprechino tempo e denaro nel tentare di affrontare percorsi che si prospettano come assai ardui da compiere.
Non possiamo ignorare il fatto che i tassi di abbandono sono marcatamente diversi a seconda degli studi precedentemente svolti e che, proprio per l’eterogeneità dei diversi percorsi formativi, il voto di maturità non è un buon predittore degli esiti universitari. Al contrario, lo sono alcuni test specificatamente elaborati per lo scopo.
Non si tratta certo di ritornare all’università di élite. Il compito è molto più ambizioso: facilitare una scelta consapevole a tutti i giovani. Si tratta di assicurare la consapevolezza delle competenze richieste e dei potenziali sbocchi occupazionali. Ma anche di verificare, prima dell’accesso agli studi universitari, il possesso dei saperi minimi attraverso test obbligatori anche se non necessariamente vincolanti, facilitando l’accesso ai capaci e meritevoli indipendentemente dalle condizioni economiche delle loro famiglie.
Per ciascun corso di studi offerto da un ateneo, l’indicazione del numero massimo di iscritti, in funzione delle dimensioni del corpo docente e della dotazione di infrastrutture, va interpretata non come volontà di limitare arbitrariamente l’accesso, bensì come segno di responsabilità e come garanzia di attenzione alla qualità degli studi.
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Nei prossimi anni il nostro giovane ateneo continuerà a rafforzare l’azione di orientamento e di sostegno agli studi, con l’obiettivo, certo non facile, di assicurare il completamento degli studi in tempi brevi al numero più elevato possibile di giovani che hanno scelto di svolgere presso di noi il loro percorso universitario.
Con questo impegno, dichiaro aperto l’anno accademico 2017-2018, il 35-esimo dalla nostra fondazione.