Migliorare i processi produttivi industriali e agroalimentari grazie alla Chimica verde. È questo l’obiettivo del progetto di sviluppo del dipartimento di Biotecnologie dell’ateneo scaligero presentato questa mattina dalla direttrice Paola Dominici e dalla direttrice vicaria Annalisa Polverari. Il progetto è sostenuto da un fondo premiale del ministero dell’Università e della Ricerca di 7.325.000 euro per 5 anni ottenuto nell’ambito del finanziamento ai dipartimenti di eccellenza.
La Chimica verde è una concezione della chimica che si propone di indirizzare su percorsi di sostenibilità l’approccio all’industria chimica. Promuove e privilegia l’interazione e l’integrazione tra le varie filiere che costituiscono il ciclo vitale dei beni: agricoltura, chimica di base, trasformazione industriale, recupero, valorizzazione del rifiuto fino all’immissione in ambiente di materia capace di restituire quel nutrimento al suolo che è indispensabile per la vita del Pianeta. L’obiettivo principale del progetto del dipartimento di Biotecnologie è la risoluzione di tre problemi che, a oggi, non consentono questa interazione e integrazione: ottimizzazione e resa quantitativa dei processi di trasformazione delle risorse; complessità delle condizioni operative dei processi, loro costi e impatto ambientale; miglioramento della produzione dei beni. Le linee di ricerca riguarderanno l’applicazione della Chimica verde nell’industria e per il settore agro-alimentare.
Chimica verde per le applicazioni industriali. Il dipartimento ha sviluppato negli anni competenze e riconoscibilità a livello internazionale nell’ambito della chimica applicata a vari processi industriali. Attraverso questo piano di sviluppo pluriennale il dipartimento intende compiere uno sforzo congiunto verso l’implementazione di nuove strategie basate sulla ricerca nel campo di enzimi e microrganismi applicata a processi produttivi e di trasformazione delle risorse, secondo i principi della chimica verde e in un’ottica di economia circolare: scarti o colture dedicate da utilizzare in processi di bioraffineria, con l’obiettivo di promuovere un uso a cascata della biomassa, ovvero estraendo dalle risorse rinnovabili tutto il loro valore, a partire dalle componenti alimentari, passando per la produzione di molecole a elevato valore aggiunto e biomateriali e, infine, recuperando il contenuto energetico dai prodotti giunti al termine del loro ciclo di vita.
Un esempio è rappresentato dalle bioplastiche, cioè plastiche di derivazione biotecnologica i cui polimeri possono essere estratti come tali dalla biomassa. Sono organiche e, perciò completamente biodegradabili, con ulteriori vantaggi quali: minor tempo di decomposizione, riduzione nella produzione dei gas a effetto serra e nell’emissione di anidride carbonica e al termine del loro utilizzo permettono di ottenere concime fertilizzante dai prodotti realizzati (biopiatti, biobicchieri) da utilizzare in agricoltura. Un altro esempio interessante è l’applicazione nella salvaguardia dell’ambiente: ceppi naturali, o ingegnerizzati, di specifici microrganismi si sono rivelati in grado di degradare rapidamente le sostanze inquinanti fino ad abbassarne la concentrazione a livelli accettabili, permettendo di bonificare vaste aree di terreni o acque da inquinanti quali petrolio, gomme, vernici, isolanti elettrici, tessuti, metalli pesanti. Non va, infine, dimenticata la diagnostica ambientale: la biotecnologia, infatti, permette di disporre di sistemi diagnostici raffinati e sensibili in grado di rilevare, in tempo reale, il grado di inquinamento del suolo o delle acque.
Chimica verde per le applicazioni agro-alimentari: studio e applicazione di soluzioni a basso impatto ambientale per le produzioni agrarie, anche mediante sfruttamento e valorizzazione della biodiversità vegetale e microbica per lo sviluppo di nuovi fitofarmaci, nanoformulazioni di sostanze antimicrobiche, creazione di biostimolanti per migliorare l’efficienza produttiva, impiego delle piante come bioreattori “verdi” e ingegneria genetica per ottenere piante resistenti agli stress, con ridotti input chimici ed energetici. Le prospettive di ricaduta del progetto nel suo insieme vanno dall’ambito biomedico, al settore ambientale ed energetico, all’agroalimentare ivi compresi gli aspetti salutistici e la nutraceutica.
Le “green biotech” consentono perfino di usare piante, frutti e ortaggi come “fabbriche” per produrre proteine ricombinanti. Inserendo il gene che codifica per una proteina nelle specie vegetali (in special modo pomodoro e patata), queste producono la proteina, che può poi essere estratta, purificata e infine somministrata al paziente. Analogamente, è possibile far produrre ai vegetali (prevalentemente alla pianta di tabacco) dei vaccini edibili, favorendo l’immunizzazione di grandi gruppi di persone e generando una risposta sociale molto rilevante, soprattutto nelle aree più povere del mondo. Ancora una volta, i vantaggi sono molteplici: i costi estremamente bassi (data la capacità di estrarre grosse quantità di proteina ricombinante dalle grandi quantità di biomassa), assenza di contaminanti potenzialmente patogenici, nessuna problematica di tipo etico.
I «dipartimenti di eccellenza» rappresentano un intervento innovativo e di forte sostegno finanziario, previsto dalla legge 232 del 2016 (legge di bilancio 2017). L’obiettivo è di individuare e finanziare, con cadenza quinquennale e nell’ambito delle 14 aree disciplinari del Consiglio universitario nazionale, i migliori 180 dipartimenti delle università statali secondo l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Dipartimenti che si caratterizzano per l’eccellenza nella qualità della ricerca e nella progettualità scientifica, organizzativa e didattica ai quali è destinato un budget annuale complessivo di 271 milioni di euro per 5 anni.
Sono 5 i dipartimenti dell’ateneo scaligero che riceveranno un fondo premiale per la realizzazione del proprio progetto di sviluppo scientifico e didattico. Oltre a Biotecnologie ci sono anche Informatica, Lingue e letterature straniere, Neuroscienze, biomedicina e movimento e Scienze giuridiche. Nel complesso l’università di Verona riceverà 36.172.580 di euro in 5 anni.