Il suo nome non è famoso come quello di Steve Jobs, ma le sue invenzioni hanno rappresentato una svolta per lo sviluppo di tecnologie ormai entrate nella nostra quotidianità. Federico Faggin, padre del microprocessore e del touchscreen, ha raccontato la sua storia di fisico e imprenditore attraverso le pagine di “Silicio. Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza”, autobiografia presentata lunedì 14 ottobre al polo Santa Marta per “Univerò – Festival del placement”.
“Ho fatto il cuore e la pelle del telefonino” ha detto in apertura Faggin, “quello che ho inventato è ciò che permette il funzionamento di tecnologie ormai divenute familiari come smartphone, chiavette usb e schede di memoria”.
Nato a Vicenza nel 1941, dopo la laurea in Fisica a Padova Faggin si è trasferito a Palo Alto in California e da lì non si è più fermato, aprendo le porte alla rivoluzione tecnologica. Nel 1968, a meno di 30 anni, ha sviluppato il progetto del primo microprocessore per Intel, che di lì a poco avrebbe sostituito i transistori lenti e ingombranti dei vecchi calcolatori. In seguito, lo Steve Jobs italiano si è messo in proprio fondando start up con un piede nel futuro, orientate allo sviluppo del collegamento tra telefono e computer, di schermi touch e di sensori per fotocamere digitali.
Una carriera iniziata seguendo la passione per le macchine e gli aerei, suo chiodo fisso fin da giovanissimo. “A 12 anni ho iniziato a costruire aeromodelli, dall’idea al prodotto finale, mi piaceva smontare e ricostruire per capire il funzionamento delle cose che assemblavo” ha spiegato Faggin. “Volevo diventare perito aeronautico, perciò mi sono iscritto all’istituto tecnico industriale contro la volontà di mio padre filosofo”.
Negli anni, Faggin ha continuato le sue ricerche anche nel campo delle neuroscienze, arrivando alla conclusione che il computer più potente del mondo è e resterà sempre il cervello umano. “Ho trascorso 30 anni a studiare come sia possibile riprodurre sensazioni e sentimenti a livello meccanico, ma la verità è che la coscienza, ossia la capacità di sperimentare la vita e conoscere noi stessi, è prerogativa dell’uomo”.
E ha lanciato un allarme rispetto al dominio dell’intelligenza artificiale: “Molti scienziati sostengono una visione meccanicistica della vita a sfavore del libero arbitrio, ma noi non siamo solo un aggregato di informazioni, e la capacità che abbiamo di osservarci dal di dentro, cioè la consapevolezza, è quanto ci permette di capire cosa ci rende davvero umani e per questo migliori di qualsiasi macchina”.