Le dinamiche sottese alla dialettica politica moderna portano a constatare come i fatti siano oggetto di contestazione come forse mai prima d’ora. Da questa considerazione preliminare ha preso avvio il primo incontro del ciclo di conferenze “Il realismo politico e l’impossibile”, promosso dal Centro di studi politici “Hannah Arendt” del dipartimento di Scienze umane dell’ateneo. La lezione inaugurale è stata affidata a Roger Berkowitz, direttore dell’Arendt Center for Politics and humanities del Bard College di New York, istituzione che ha in donazione l’intera biblioteca della filosofa ebrea tedesca.
Berkowitz, che in settimana riceverà a Brema proprio il “Premio Hannah Arendt”, onorificenza riservata a studiosi eminenti in campo politico-filosofico, ha proposto una rilettura in chiave attuale del pensiero di Arendt, a partire dalla duplice accezione della parola ‘solitudine’ che ricorre nei suoi scritti.
Ciò che la filosofa indica con il termine inglese «loneliness», come sottolineato da Berkowitz, si lega allo smarrimento dell’individuo di fronte alla mancanza di valori sul piano politico, familiare e religioso. Isolati in un contesto sociale la cui cornice ha contorni sempre più sfumati, gli uomini sentono il bisogno di richiamare la propria appartenenza a un’ideologia. L’opinione pubblica diventa così oggetto di facile manipolazione da parte della classe dirigente al vertice.
Il corretto svolgimento del dibattito politico, ha concluso Berkowitz rimarcando il ruolo dell’università, dipende dalla capacità di riportare la realtà all’analisi dei “duri fatti” e la politica all’azione generativa di narrazioni che, partendo da tali fatti, rendano possibili nuovi reali.