Un servizio di salute mentale ha la stessa efficacia se erogato in contesti di estrema povertà o guerra? E in che modo questo può influire sulla politica sanitaria delle agenzie che operano in ambiti umanitari svantaggiati? Questi gli interrogativi che hanno guidato lo studio “Efficacy of psychosocial interventions on mental health outcomes: umbrella review of evidence generated in low- and middle-income countries”, pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Psychiatry. La ricerca, coordinata da Corrado Barbui, docente di Psichiatria dell’ateneo scaligero, è stata condotta da un team di docenti del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’università di Verona, diretto da Andrea Sbarbati.
La ricerca è stata coordinata dal Centro collaboratore dell’Organizzazione mondiale della Sanità dell’università di Verona, in collaborazione con istituzioni provenienti da 7 diversi Paesi (Nigeria, Turchia, Regno Unito, Etiopia, Olanda, Sudafrica, Stati Uniti).
“Obiettivo della ricerca è stato stabilire se interventi psicosociali per il trattamento di patologie psichiatriche come la schizofrenia, il disturbo bipolare, la depressione maggiore, il disturbo post-traumatico da stress, ed altri disturbi d’ansia, siano efficaci quando erogati in contesti di estrema povertà o guerra o in paesi economicamente svantaggiati” spiega Barbui. “A questo fine, sono stati analizzati, utilizzando innovative tecniche statistiche, tutte le sperimentazioni randomizzate condotte nel mondo negli ultimi 10 anni”.
L’analisi statistica di 123 sperimentazioni randomizzate condotte in Paesi economicamente svantaggiati ha dimostrato che è possibile erogare, anche in contesti di estrema povertà, guerra, instabilità sociale e politica, interventi psicologici e sociali efficaci per migliorare le condizioni cliniche di persone con patologie psichiatriche. Interventi di tipo cognitivo-comportamentale o psicoterapie interpersonali di breve durata hanno mostrato ottimi tassi di successo terapeutico. In aggiunta, lo studio ha dimostrato che l’efficacia degli interventi è mantenuta anche quando questi vengono erogati da staff formato al riguardo ma senza background clinico e psicologico precedente.
“Questi risultati hanno importanti implicazioni di politica sanitaria per tutte le agenzie non governative, come l’Organizzazione mondiale della Sanità e molte altre, che si dedicano a sviluppare programmi di supporto psicologico e psichiatrico in contesti umanitari svantaggiati”, osserva Barbui. “Tali agenzie potranno includere nei propri pacchetti di aiuto anche interventi psicosociali di provata efficacia, mentre sul campo sarà possibile formare staff in grado di erogare tali interventi anche in situazioni di carenza o assenza di medici psichiatri e psicologi, come purtroppo tipicamente accade nei Paesi in via di sviluppo”.
“Dato che quando si parla di salute mentale nessun Paese al mondo può ritenersi completamente sviluppato, i risultati della ricerca hanno anche implicazioni importanti per la corretta gestione del disagio psicologico in contesti economicamente avanzati, dove ancora oggi fette di popolazione esposte a fattori di rischio psicosociale, per esempio gli immigrati, i senza fissa dimora, le persone che versano in condizioni di indigenza, non hanno pieno accesso a forme efficaci di assistenza sanitaria e di intervento psicologico” conclude Barbui. “I risultati di questa ricerca pongono le basi per lo sviluppo di programmi economicamente sostenibili di supporto a tali strati di popolazione in contesti come quelli dei Paesi europei, inclusa l’Italia”.