Dai grandi centri alle piccole comunità territoriali, come cambia l’impatto dell’emergenza da coronavirus? Ne abbiamo parlato con Serena Cubico, docente al dipartimento di Economia aziendale e qui in veste di sindaco del Comune di Ferrara di Monte Baldo.
Che impatto ritiene abbiano avuto iniziative come quella diffusa in molti comuni che ha visto l’istituzione di servizi per la consegna della spesa a casa alle persone anziane e/o sole?
La situazione in cui i cittadini si sono trovati improvvisamente ha messo in difficoltà molti nella gestione della vita quotidiana. Da una normalità in cui ognuno poteva gestire spostamenti, incontri e tempi ci si è trovati a dover affrontare la limitazione delle proprie autonomie, tra queste il procurarsi beni di prima necessità o farmaci. In questo frangente, abbiamo potuto assistere (e molti di noi a esserne anche artefici o partecipi) a una reazione civica esemplare e spontanea quale la disponibilità a supportare chi non ha modo di muoversi totalmente dalla sua abitazione per diversi motivi (chi per sicurezza, come gli anziani o i portatori di patologie; chi per misura, come chi si trova in quarantena fiduciaria; chi per norma, coloro che sono in quarantena obbligatoria). Questo impedimento ha messo in moto un sistema di “civile protezione” in cui associazioni già presenti sul territorio o il vicino di casa sono diventate braccia e gambe per chi non può muoversi. Ritengo che questo abbia impatto nel dare soddisfazione alle necessità che ognuno si trova a percepire e che in situazione di limitazione delle proprie libertà sono amplificati: dal livello più basico dei bisogni fisiologici (nutrirmi), a quello del bisogno di sicurezza (sentirmi garantito che potrò nutrirmi con continuità), ai livelli più elevati come il senso di appartenenza (percepirmi parte di un gruppo) o il bisogno di riconoscimento (avere riscontro che quanto ho fatto ha un valore per gli altri) e di autorealizzazione… salta subito all’occhio che di questi cinque livelli i primi due coinvolgono in particolare il destinatario del servizio di aiuto ma i tre successivi legano fortemente chi riceve e chi dà.
Il Covid-19 sta colpendo soprattutto gli anziani. Tante piccole realtà stanno vedendo sgretolarsi il patrimonio sociale storico di interi paesi. Come rivalutare il ruolo di questa categoria, spesso dimenticata, all’interno della nostra società?
Nei comuni montani l’età media è significativamente più elevata che nelle aree pedemontane o di pianura. I dati documentano che Covid-19 è nemico delle generazioni più anziane che lo subiscono più pesantemente. Andrà compreso meglio come e dove il contagio si sia realizzato in modo più importante, ma sembra trasparire che il forte contatto tra generazioni tipico della nostra cultura sia stato un fattore facilitante. L’anziano, nei piccoli paesi in particolare, è il cuore pulsante della vita quotidiana e rappresenta la memoria e gli affetti in modo ancor più evidente che nei grandi centri. Se si dedica attenzione e ci si ferma a guardare la vita dei nostri anziani si scopre che il loro “andamento lento” ci può insegnare a dare il giusto peso alle cose e a definire meglio le priorità. Noi delle generazioni più giovani tendiamo ad accelerare le cose per vedere presto i risultati in un futuro che vogliamo sempre più definito, l’anziano ci mette davanti a un passato in cui i problemi da affrontare potevano avere nomi diversi ma le competenze utili per superarli non sono mutate. Certo, oggi abbiamo abilità diverse per gestire nuove tecnicità ma valori, motivazioni, attitudini e atteggiamenti di base utili a gestire incertezze e cambiamenti non sono cambiati molto. Forse quanto stiamo vivendo oggi con la pandemia Covid-19 somiglia di più a qualcosa di cui i nostri anziani hanno memoria e che per noi è invece totale novità. Ascolto, empatia e aiuto si stanno dimostrando, per quello che stiamo vedendo in questi giorni, dei buoni canali per apprendere da loro come muoverci nelle difficoltà.
In un periodo in cui siamo obbligati a stare a casa da soli o circondati da pochi familiari sta cambiando la nostra percezione delle relazioni. Come questo influisce sul senso di appartenenza alla propria comunità territoriale?
Decreti e ordinanze in modo più o meno restrittivo hanno limitato i movimenti e il contatto interpersonale, hanno vincolato le persone a stare a casa dal lavoro e dai vari impegni, hanno chiuso le porte agli incontri in ambiente domestico e in luoghi pubblici. Questa nuova dimensione sembra stia acuendo l’attenzione verso quello che accade fuori e quindi si nota una maggior interesse anche alle minime azioni che si possono mettere in atto in una comunità. Noi sindaci, ad esempio, siamo “osservati speciali” in ogni decisione e azione e ogni cittadino filtra il risultato e lo legge ancor più fortemente in relazione ai suoi bisogni. Nella stessa misura ogni altra persona, fuori o dentro le mie mura, diventa oggetto di maggior attenzione e i comportamenti osservati spesso vengono sovra-dimensionati. Si fatica un po’ tutti a distinguere il confine tra le mie esigenze e quelle dell’altro, dato che sentiamo le nostre necessità come primarie a causa dell’insicurezza che una situazione innaturale come questa ha creato. Nello stesso modo questo muove ad una maggior interesse ad essere informati della vita collettiva; qualunque sia la spinta si nota che la partecipazione per quanto accade è più intensa. Mi sento di dire che questo accresce anche il senso di appartenenza e sto scoprendo risorse umane considerati dei riferimenti nella comunità territoriale a cui poter affidare ruoli sociali di sostegno. Stiamo vivendo una occasione in cui ognuno può essere corresponsabile del risultato finale, oggi più che mai.