Da diversi anni la maggior parte delle imprese identifica nella ‘business interruption’, ovvero una severa interruzione della operatività di una azienda e della supply chain dovuta a cause imprevedibili o inattese, il rischio più critico per la propria organizzazione e per l’intera catena di fornitura, come testimoniano le recenti ricerche sulle percezioni dei rischi a livello globale.
Perché? Principalmente per due motivi.
In primo luogo, perché ogni ‘interruzione’ genera un mancato servizio di consegna o la indisponibilità di un prodotto presso un cliente, con effetti economici importanti: ogni ‘shock’ determina una perdita di fatturato, una penale da pagare al cliente o un aggravio nei costi di trasporto. Questo perché l’efficienza dei processi è spesso fondata sulla velocità di evasione degli ordini, sulla mancanza di scorte e su un elevato coordinamento tra le parti. In questi casi, un errore o un ritardo da parte di un’impresa (un fornitore, un produttore o un distributore) si ripercuote direttamente ‘a valle’, sul cliente.
In secondo luogo, la business interruption è temuta perché le sue cause sono tipicamente difficili da prevedere e da gestire. Le imprese spesso operano a livello globale, devono sincronizzare i flussi di produzione e distribuzione da un capo all’altro del pianeta, ma sono vulnerabili verso fattori esogeni difficili da controllare: turbolenza politico-economica, volatilità nei mercati, trend macroeconomici recessivi, tensioni sociali nei e tra i paesi, modifiche nelle normative e nelle regole di commercio, eventi catastrofali ambientali, … le pandemie. Pensiamo al recente passato e all’impatto che grandi eventi quali la Brexit, la guerra dei dazi sul fronte commerciale, i flussi migratori, i gravi incendi in Australia – per fare solo qualche esempio – hanno avuto sui processi di acquisto, sui costi di produzione e sui trend di consumo. E oggi una pandemia.
Ricordiamo tutti, nel 2011, il terremoto e lo tsunami in Giappone. Oltre alla tragedia per le persone coinvolte, essi causarono una grave business interruption globale, soprattutto nel settore automotive. Molte imprese europee non compresero appieno l’effetto che lo shutdown di alcuni lontani fornitori di terzo o quarto livello, in Giappone, avrebbe causato sul delivery delle auto tedesche. Perché? Mancanza di visibilità lungo la catena di fornitura, mancanza di una reale conoscenza dei fornitori di secondo livello (i fornitori dei fornitori) e degli effetti che ogni ritardo – a monte – può creare a valle: l’effetto domino. Da questa esperienza, e da altre simili, le imprese hanno appreso soprattutto l’importanza di avere fornitori e service provider alternativi, a tutti i livelli: un pilastro del Business Continuity Management (gestione della continuità operativa), cioè l’insieme di strategie e strumenti che permettono alle imprese di prevenire un evento critico, organizzare una risposta emergenziale e ripristinare le attività a seguito di una business interruption.
Oggi l’emergenza COVID-19 colpisce molti produttori, distributori e operatori logistici in tutto il mondo. Come verrà gestita questa crisi? Le imprese che già hanno vissuto in passato una grave business interruption hanno oggi piani efficaci di business continuity. Spesso la consapevolezza nasce dall’esperienza.
Nella pandemia attuale, la gestione degli shock lungo le supply chain globali assume tratti di complessità prima sconosciuti. Il messaggio è tuttavia simile a quello appreso dalle grandi crisi degli ultimi decenni: mettere in atto piani di business continuity su ampia scala, saper cogliere i segnali deboli, gestire l’effetto domino.
Tre mesi fa, a metà dicembre, chi aveva sentito parlare del coronavirus nella provincia di Wuhan? A febbraio 2020 molti produttori globali, Apple per esempio, hanno visto concretizzarsi severi ritardi di consegna da fornitori cinesi non localizzati nelle zone rosse. Per molti si è registrato un calo inatteso del fatturato di fine primo trimestre. Effetto domino. Oggi, il numero di container fermi nei porti cinesi o nelle fabbriche supera quello raggiunto durante l’ultima drammatica crisi finanziaria. Le misure restrittive vigenti in tutti i paesi stanno drammaticamente riducendo la domanda in molti settori, modificando imprevedibilmente i comportamenti d’acquisto in altri: si pensi ad esempio alla corsa agli acquisti per i prodotti di largo consumo o all’esplosione delle vendite nel canale e-commerce. Dal lato della fornitura, in molti settori i ritardi negli approvvigionamenti dalla Cina rallenta le produzioni.
Le imprese torneranno certamente alla normalità, ma sono incerti i tempi e i costi. Le strategie di business continuity management forniscono strumenti utili per gestire le emergenze impreviste, e sono ora vitali. Fornitori alternativi, piani di produzione diversificati, condivisione delle informazioni e dei piani previsionali tra produttori e retailer saranno strumenti fondamentali. La flessibilità è la ricetta del successo di quelle piccole imprese che, oggi, stanno velocemente riorganizzando i processi di approvvigionamento e risposta al mercato per cogliere nuove opportunità.
Flessibilità, visibilità e capacità di adattamento sono quindi ingredienti essenziali, che impariamo a gestire grazie a esperienze passate, piani strategici ad hoc e buona capacità di reazione. Puntiamo soprattutto su quest’ultima, oggi, e allo sviluppo di piani di business continuity per il futuro. – Barbara Gaudenzi, docente di Economia e gestione delle imprese nel dipartimento di Economia aziendale