Giuliano Bergamaschi, docente di Didattica applicata alle Scienze motorie del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’ateneo di Verona, è il pedagogista della Nazionale italiana di pallavolo maschile. La squadra ha vinto gli Europei 2021 a Kowice, in Polonia, battendo la Slovenia per 3 a 2.
Bergamaschi è filosofo e pedagogista, da oltre vent’anni si occupa di temi motivazionali nel mondo sportivo, in particolare nella pallavolo, nel calcio e nella pallanuoto. Preferisce definirsi ed essere chiamato pedagogista e non mental coach, per una scelta di appartenenza alla tradizione culturale italiana.
Da molto tempo collabora con il nuovo Commissario tecnico della Nazionale di pallavolo italiana, Ferdinando De Giorgi, in arte Fefè.
Lei parla di Ferdinando De Giorgi, apostrofandolo come “il Genio dell’equilibrio vincente”. Come si è arrivati a vincere il Campionato europeo?
L’oro italiano vinto a Katowice agli Europei di volley 2021 è un risultato eccezionale creato da Fefè attraverso tre ingredienti: la fiducia nei giovani atleti, il lavoro interdisciplinare di uno staff relativo all’aspetto fisico tecnico e mentale e l’appartenenza concreta a valori sportivi e ai valori nazionali della nostra Patria Italia. L’urlo agonistico della squadra NOI ITALIA gridato prima di ogni partita ne è una splendida testimonianza, un “urlo” per altro creato e voluto dalla stessa squadra.
Non mental coach, bensì pedagogista. Un lavoro il suo che, partendo dalla tecnica e dal fisico, si focalizza sugli aspetti mentali, cognitivi, su cosa e come comunicare, in un’ottica di appartenenza, condivisione e cooperazione.
Come pedagogista in questa impresa ho avuto il ruolo di focalizzare nella squadra e nello staff il “Come” dell’informazione, della relazione, dell’allenamento e della partecipazione. L’assenza di esperienza di questi giovani, in un torneo internazionale di così alto livello, è stata sopperita dal coinvolgimento, fattore emotivo motivazionale che ha accelerato tutti i processi di aggregazione ed integrazione di questa giovanissima squadra. Gli strumenti impiegati nella mia attività pedagogica sono stati il dialogo clinico, la riflessione e l’osservazione partecipativa.
L’esperienza, infatti, come ha detto nella recente intervista rilasciata a “La Gazzetta dello Sport” è importante, ma non deve diventare un alibi, una comodità. La poca esperienza, dovuta alla giovane età dei giocatori, è diventata, in un lavoro di squadra coeso e con una finalità precisa, un punto di forza. Determinante in questo contesto è stato lavorare sul come fare, sulla relazione dei giocatori con se stessi e gli altri e sulla partecipazione dialogata.
Il lavoro del pedagogista in ambito sportivo, come lei insegna, è un lavoro di motivazione ed educazione che si basa su prassi formative che coinvolgono consapevolmente le persone. Non c’è un io, ma un noi: si vince insieme (il passaggio sia nel calcio che nella pallavolo è l’emblema del gioco di squadra). A questo occorre aggiungere anche la disponibilità a mettersi in gioco, oltre il proprio ego. Se dovesse trovare delle parole per riassumere questa impresa, quali sarebbero?
Un’esperienza umana e professionale che mi ha riconfermato il mantra del mio sentire pedagogico: solo l’educazione realizza il valore dell’essere umano.
Contributo Comunicazione Scienze motorie.