Quella che si è aperta il 26 luglio 2024 è l’Olimpiade che si distingue per il maggior impegno, fino ad ora, in favore dell’equità di genere. Il cammino dalla prima edizione moderna dei Giochi olimpici del 1896 ad Atene, quando il barone Pierre De Coubertin vietò la partecipazione alle donne affermando che sarebbe stata “poco pratica, ingiusta, poco interessante e sbagliata”, è stato lungo fino a Parigi 2024.
A fare il punto sulla presenza delle donne nella competizione internazionale e sul binomio “Sport e differenza di genere” è Francesca Vitali, docente di Psicologia dello sport del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento.
“A Parigi 2024 sono state prese alcune decisioni storiche in tema di equità di genere: la partecipazione di atlete ed atleti, infatti, sarà perfettamente paritaria: ci saranno 5.250 donne ed altrettanti uomini – afferma Vitali – e saranno, dunque, la metà esatta del totale dei 10.500 partecipanti (già a Tokyo 2020 le atlete furono il 48,8%). L’Italia sarà rappresentata da 209 atleti e 194 atlete, sfiorando la parità”. Aggiunge poi che “gli sport e gli eventi misti per genere (mixed team sport) aumenteranno da 18 a 22 rispetto a Tokyo 2020, e ben 28 programmi sportivi su 32 saranno bilanciati per genere. Ancora, le atlete che sono anche madri potranno fruire di spazi appositi e sicuri per allattare e stare con i propri figli durante la manifestazione sportiva.”
“Restano, comunque, ampi spazi di miglioramento per una Olimpiade che, per la prima volta nella storia dei Giochi Olimpici moderni condivide anche il medesimo logo e simbolo con i Giochi Paralimpici: almeno simbolicamente, un ulteriore passo verso l’equità fra atleti e atlete con e senza disabilità. Infatti, tornando all’equità di genere, non sono state annunciate, come invece era stato promesso dal Comitato olimpico internazionale (Cio), le nuove regole per l’elegibilità e l’ammissibilità delle atlete e degli atleti in transizione di genere (transgender) e intersessuali”. Continua affermando che “Se a Tokyo 2020 le allenatrici erano il 13%, con un incremento di due punti percentuali rispetto a Rio 2016, vedremo quali saranno i dati definitivi per Parigi 2024, ma certamente su questo aspetto siamo ben lontani dalla parità di genere. Anche rispetto ai capi missione (chief of mission) i numeri sono lontani dalla parità: a Rio 2016 solo l’11% erano donne rispetto al 20% di Tokyo 2020. Ancora, i dirigenti sportivi a Rio 2016 erano solo nel 7% dei casi donne, rispetto al 27% di Tokyo 2020. Per l’Italia, a Parigi 2024 su 449 dirigenti accreditati, soltanto 71 sono donne. Numeri che ci dicono come la parità sia ancora un traguardo lontano. Infine, le arbitre a Rio 2016 furono il 29% del totale, con un lieve incremento rispetto a Tokyo 2020 dove erano il 32%: anche in questo caso dovremo attendere i dati definitivi, ma raggiungere la parità di rappresentanza per genere anche nelle posizioni tecniche, dirigenziali e decisionali resta un obiettivo fondamentale”.
Se il Capitolo 1 della Carta olimpica riconosce il principio di non-discriminazione e l’uguaglianza di genere come principi fondamentali, la disuguaglianza di genere è ancora presente. “Alcune studiose come Walker e Sartore-Baldwin (2013)” – afferma Francesca Vitali – “vedono la discriminazione di genere nello sport come istituzionalizzata a tutti i livelli sportivi e ancora ben radicata, al punto da essere raramente riconosciuta e messa in discussione. Inoltre, quando le donne, le attiviste e le ricercatrici mettono in discussione questo presupposto, spesso incontrano scherno, scetticismo e ostilità”.
Per promuovere l’uguaglianza di genere nello sport la ricerca suggerisce diverse strategie possibili, ovvero “Incrementare la partecipazione delle atlete non solo ai livelli apicali ma anche e soprattutto alla base. Raggiungere la parità di rappresentanza nelle posizioni tecniche (es. allenatrici, arbitre), decisionali e apicali: avere donne nelle posizioni di leadership tende ad aumentare le azioni concrete a favore dell’equità di genere. Infine, sradicare gli stereotipi e la violenza basati sul genere”.
Sara Mauroner
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