Nell’opinione pubblica c’è ormai la credenza radicata che lo sport vada oltre alla politica. In realtà non è così se si guarda alle varie edizioni delle Olimpiadi nel Ventesimo Secolo.
Giovanni Bernardini, docente di Storia contemporanea del dipartimento Culture e civiltà, ci fornisce una ricostruzione e un’analisi delle vicende storiche che hanno caratterizzato il binomio Olimpiadi e politica del secolo scorso.
“L’idea che le Olimpiadi possano essere accompagnate da una tregua dai conflitti in corso è purtroppo relegata a un passato remoto. Al contrario, in ben tre casi nel corso del Ventesimo Secolo esse sono state cancellate perché coincidenti con le Guerre Mondiali. L’ultimo, quello del 1944, vide la suggestiva coincidenza temporale tra l’edizione che si sarebbe dovuta disputare a Londra in estate e lo Sbarco in Normandia. Anche in tempo di pace, le Olimpiadi moderne sono state segnate da un rapporto stretto con la politica. Dopo le prime pionieristiche edizioni, esse sono diventate un fenomeno di massa e hanno attratto l’attenzione dei media, sempre più potenti e pervasivi. Questa combinazione ha trasformato le Olimpiadi in un affollato palcoscenico da cui molti attori hanno cercato di lanciare messaggi politici nel senso più ampio del termine. Le edizioni passate offrono esempi su cui riflettere per anticipare gli sviluppi futuri.
I Giochi del 1936 furono assegnati a Berlino quando il nazismo non era ancora al potere. Il regime hitleriano li accolse come un’opportunità di esporre al mondo sia le proprie capacità organizzative, sia la propria ideologia fondata sulla gerarchia delle razze. Le Olimpiadi di Berlino furono le prime a essere videotrasmesse e fotografate a colori, e furono raccontate via radio in almeno quaranta paesi. Il documentario “Olympia” che ne raccontava lo svolgimento conobbe un’enorme diffusione anche grazie alle significative innovazioni tecniche e cinematografiche utilizzate. L’intera edizione contribuì a diffondere l’estetica del nazionalsocialismo e a guadagnargli ammiratori anche all’estero, oscurando contemporaneamente l’anima più brutale del regime.
Nel 1968 le Olimpiadi si svolsero a Città del Messico, con l’intenzione di mostrare la modernizzazione del paese e il suo presunto avvicinamento agli standard del “Primo Mondo”. L’edizione coincise però con l’anno delle proteste giovanili e studentesche a livello globale. Il Messico non ne rimase immune: affinché i tumulti non pregiudicassero la buona riuscita dei Giochi, il governo ordinò una dura repressione culminata nel massacro di centinaia di partecipanti a una manifestazione pacifica. Il tentativo di insabbiamento fallì, anche grazie alla massiccia presenza di giornalisti da tutto il mondo, trasformandosi in un boomerang per il governo messicano. Più ancora, le “Olimpiadi della contestazione” sono ricordate per le plateali manifestazioni di dissenso degli atleti nei confronti dei loro governi. La più eclatante riguardò Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente vincitore e terzo classificato nella finale dei 200 metri: durante la premiazione essi alzarono il pugno avvolto in un guanto nero per ribadire che la battaglia dei diritti civili degli afroamericani in America proseguiva sotto la patina dei successi sportivi statunitensi, che utilizzavano i “neri” alla stregua di “cani da corsa”. Altrettanto significativo fu il gesto della ginnasta cecoslovacca Věra Čáslavská, vincitrice di quattro medaglie d’oro: durante una premiazione, distolse ostensivamente lo sguardo dalla bandiera dell’Unione Sovietica, responsabile di aver appena soppresso la “Primavera di Praga” che lei appoggiava.
Infine, le Olimpiadi del 1980 a Mosca furono segnate dal boicottaggio da parte degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali, in risposta alla recente invasione sovietica dell’Afghanistan. Il regime sovietico restituì il “favore” quattro anni più tardi, in occasione dei Giochi di Los Angeles, adducendo ragioni di “sicurezza” e costringendo la quasi totalità dei paesi sotto la sua influenza a fare altrettanto. Così, la stessa partecipazione alle Olimpiadi diventava ostaggio delle logiche che dominavano una delle fasi più calde della “Guerra Fredda” e in generale le relazioni internazionali.
E quelle di Parigi 2024, che Olimpiadi saranno sotto il profilo politico? Difficile ritenere che non assisteremo a nuovi tentativi di usarle per trasmettere all’audience globale messaggi relativi alle tante aree di crisi, a cominciare dalla guerra in Ucraina e dalla situazione di Gaza. Al contrario, le polemiche già seguite alla cerimonia di apertura e alla presunta replica dell’“Ultima Cena” in chiave Lgbtqia+ (interpretazione peraltro negata dai suoi stessi ideatori) lasciano presagire che la politica sarà un’importante chiave di lettura anche dei Giochi in corso.”
SM
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