Secondo una proiezione dell’Istat, entro il 2050 le persone di 65 anni e più rappresenteranno circa il 34% della popolazione totale, rispetto al 24% attuale. Ancora più marcato sarà l’aumento degli ultraottantacinquenni, che passeranno dal 3,8% nel 2023 al 7,2% nel 2050, includendo una quota crescente di individui fragili.
Un dato allarmante emerge anche per il 2043, quando 4,1 milioni di italiani di 75 anni e più vivranno soli, aumentando le pressioni sul sistema di cura e assistenza.
Questa prospettiva pone seri interrogativi sulla tenuta del sistema sanitario e assistenziale italiano, già oggi segnato da numerose criticità. Secondo dati Istat, al 31 dicembre 2020 si contavano 12.630 Residenze sanitarie assistenziali in Italia, con circa 412.000 posti letto, pari a sette ogni 1.000 abitanti. In Veneto, ad esempio, ci sono attualmente 33.600 posti letto disponibili, ma circa 10.000 anziani restano in lista d’attesa.
A questa situazione si aggiunge una grave carenza di personale: migliaia di infermieri e operatori sociosanitari mancano all’appello, aggravando ulteriormente le difficoltà operative delle strutture.
Per rispondere a queste sfide, è stata avanzata la proposta di istituire un Istituto Italiano sull’Invecchiamento, un centro dedicato alla ricerca, all’innovazione e alla formulazione di politiche, seguendo l’esempio di paesi come Francia, Germania e Regno Unito.
Per fare il punto sulla situazione, abbiamo intervistato Paola Bertoli, docente di Economia Politica del dipartimento di Scienze Economiche Univr.
Professoressa Bertoli, quali sono i principali punti di forza e di debolezza del sistema di cura e assistenza in Italia?
Sicuramente il maggior punto di forza è nell’inclusività. Tutti possono accedere al sistema sanitario nazionale e questa accessibilità è di diritto ma lo è anche di fatto. Questo sicuramente per quanto riguarda la fase acuta, anche se bisogna ammettere che la situazione si complica se guardiamo al caso di malattie croniche o dell’assistenza specialistica. Quanto alle debolezze, va certamente menzionata la carenza della medicina territoriale e il suo scarso coordinamento con quella ospedaliera. Infatti, uno dei principali obiettivi del PNRR in materia di sanità è la riorganizzazione dell’attuale assetto della medicina territoriale attraverso, ad esempio, la riqualificazione degli ospedali di comunità, le case di comunità e le centrali operative territoriali. Queste sono realtà talvolta già esistenti, sebbene in forma e con nome diversi, in varie realtà regionali. Dico questo per evidenziare un’altra criticità, che ritengo non debba essere dimenticata: i significativi squilibri territoriali tra aree diverse in termini di offerta sanitaria. Se poi pensiamo al personale sanitario, oltre l’ormai nota carenza di professionisti, penso si debba sottolineare anche la scarsa valorizzazione delle carriere e del merito nei contesti pubblici.
L’istituzione di un centro di ricerca sull’invecchiamento può rappresentare un’opportunità concreta o c’è il rischio di dispersione di risorse?
Un approccio multidisciplinare è senza dubbio la strategia migliore per affrontare la complessa sfida dell’invecchiamento che richiede non solo di adattarsi ai cambiamenti in corso e ai nuovi bisogni intervenendo in termini di assistenza sanitaria, ma anche un sostegno economico, sociale e motivazionale dell’anziano e del suo nucleo famigliare. In questo senso, l’idea di un centro di ricerca dedicato può rappresentare una grande occasione per permettere di comprendere al meglio le opportunità e le criticità del fenomeno e per poter sviluppare delle soluzioni e politiche di intervento che realmente portino ad una società inclusiva per tutte le età. Come ricercatrice, penso però sia necessario un impegno reale delle istituzioni nel supportare la ricerca scientifica basata sull’utilizzo dei dati. L’attuale quadro normativo in materia di protezione dei dati pone notevoli ostacoli alla piena valorizzazione di essi come quelli sanitari con forti ripercussioni sulla ricerca e la competitività scientifica del paese.
In questo contesto, come si inserisce la ricerca del vostro dipartimento che è impegnato in questi anni nello sviluppo di un filone considerato cruciale dal titolo “Salute e benessere”?
Da quando è stato riconosciuto Dipartimento di Eccellenza dal MUR nel 2023, il dipartimento di Scienze economiche ha investito molto sul filone di ricerca di “Salute e benessere” nella convinzione che un obiettivo fondamentale per la nostra società sia la promozione del benessere di tutti a tutte le età. In particolare, il gruppo di economia sanitaria si sta concentrando sulle due implicazioni principali dell’invecchiamento della popolazione: la crescente domanda di assistenza con la relativa pressione, anche finanziaria, posta sul sistema sanitario, e la riduzione del personale sanitario. In quest’ottica, abbiamo ottenuto due finanziamenti Horizon Europe per dei progetti connessi a questi temi. Una componente rilevante dei progetti del dipartimento consiste nella raccolta dati che possano essere di supporto non solo per la comunità scientifica in generale ma anche per i decisori pubblici, anche a livello locale.
Sara Mauroner