Allungare la mano e aprirla per afferrare un oggetto: un gesto apparentemente semplice, che in realtà si fonda su una complessa architettura del sistema nervoso centrale. Al centro di una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Pnasci sono Valeria di Caro -assegnista presso la Sezione di Neurochirurgia-, Francesco Sala e Paola Cesari, docenti dell’università di Verona, che hanno contribuito in modo decisivo allo studio, frutto di una stretta e duratura collaborazione tra le Sezioni di Neurochirurgia (Sala, Di Caro), e di Scienze Motorie (Cesari) del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’ateneo scaligero Luigi Cattaneo del Centro interdipartimentale Mente/Cervello – Cimec dell’università di Trento. Il lavoro descrive cosa accade nelle
persone con tumore al cervello e offre le prime prove sperimentali nell’uomo dell’associazione tra il deficit della presa e lesioni di una determinata area cerebrale.
La ricerca ha coinvolto 33 pazienti affetti da tumori cerebrali ed è stato reso possibile grazie all’unicità del contesto clinico veronese, dove l’esperienza neurochirurgica si intreccia quotidianamente con la ricerca scientifica e la fisiologia del movimento. Lo studio, coordinato dal Prof. Cattaneo, è stato condotto da Valeria Di Caro presso il Laboratorio di Cinematica della Sezione di Neurochirurgia, a Borgo Trento
«Abbiamo scoperto – spiega Francesco Sala – che lesioni localizzate in aree specifiche del lobo parietale e frontale compromettono in modo selettivo la capacità di regolare l’apertura della mano in base alla geometria dell’oggetto da afferrare. Una scoperta che ha ricadute cliniche importanti, perché ci permette di pianificare interventi chirurgici più sicuri, riducendo al minimo i danni funzionali per i pazienti».
«Grazie alla collaborazione con l’Unità di Neurochirurgia – sottolinea Paola Cesari – è stato possibile raccogliere dati preziosi sui pazienti e così analizzare in modo rigoroso l’architettura neurale necessaria per predire e guidare azioni complesse quali quelle della mani nell’atto di prensione, azioni, che come abbiamo evidenziato nello studio, sono uniche della specie umana». Utilizzando tecniche avanzate di motion capture, i ricercatori hanno registrato in dettaglio i movimenti della mano mentre i pazienti cercavano di afferrare oggetti di dimensioni diverse. «Queste tecniche – spiega Valeria Di Caro – ci permettono di ricostruire in modo estremamente accurato le traiettorie dei movimenti nello spazio tridimensionale, aiutandoci a comprendere le dinamiche che rendono possibile l’esecuzione di un gesto, e che possono risultare compromesse in presenza di lesioni cerebrali». Lo scopo: comprendere come il cervello traduce le informazioni visive in azioni motorie mirate.
Il contributo dei ricercatori veronesi e del Prof. Cattaneo è stato cruciale nell’identificare, con precisione quantitativa, il network neurale coinvolto nella trasformazione della visione in azione. Una conoscenza fondamentale per comprendere meglio la fisiologia cerebrale ma anche per migliorare gli approcci terapeutici e riabilitativi nei pazienti con patologie cerebrali.
Lo studio, dal titolo “The neural bases of the reach–grasp movement in humans: Quantitative evidence from brain lesions” (link all’articolo), documenta per la prima volta in modo sperimentale la connessione tra danni in una specifica area cerebrale e i deficit motori nell’atto dell’afferramento.
Un risultato di grande rilevanza, che vede Verona non solo come centro clinico d’eccellenza, ma anche come protagonista nella frontiera della ricerca neuroscientifica internazionale.
SM