“Lucrezia e le altre, dal mito l’origine della violenza di genere” è il titolo dello spettacolo teatrale che andrà in scena giovedì 12 dicembre alle 21 nell’aula T2 del polo Zanotto. L’evento è promosso dal Cug, Comitato unico di garanzia dell’ateneo, all’interno delle iniziative organizzate per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Farneto Teatro porta in scena, per la regia di Maurizio Schmidt, “Lucrezia e le altre, dal mito l’origine della violenza di genere”. Elisabetta Vergani e Silvia Romani, come moderne archeologhe, riporteranno alla luce le voci, i pensieri, le vicende, i miti le storie che hanno forgiato fin dall’antichità il pensiero della violenza sulle donne. Musiche originali dal vivo di Sara Calvanelli. La nota introduttiva è riservata ad Andrea Rodighiero, docente di Letteratura greca dell’Università di Verona. L’ingresso è libero.
Lucrezia e le altre. Nel V secolo a.C., in una villa di campagna, la nobile Lucrezia viene violentata senza pietà, complici le tenebre, dal figlio dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Alle prime luci dell’alba, Lucrezia chiama intorno a sé i suoi cari e si toglie la vita trafiggendosi con la spada esclamando: “Che nessuna donna viva più nel disonore!”. È il primo #metoo della storia: la prima voce, orgogliosa, di donna a levarsi contro la violenza, la prima vittima a non voler accettare il silenzio complice. Il gesto di Lucrezia segnerà la fine della monarchia a Roma e l’inizio della repubblica.
Lucrezia non è sola: l’antichità ci consegna le storie di giovani donne violate dagli dèi o da comuni mortali. Né fa particolarmente impressione ricordare una famosa espressione di Ovidio: vis grata puellae, “alla ragazza piace essere violentata”, sopravvissuta, come una scoria pericolosa, nei manuali di diritto fino ai primi del Novecento.
In scena un coro di tre voci, un’attrice, una studiosa di mitologia classica, una musicista. Un coro che, come nel teatro tragico dell’Atene del V secolo a.C., interroghi il passato facendosi tramite per il presente, di fronte alla propria comunità.
Una riflessione appassionata e civile che ci aiuti a cambiare lo sguardo, a sovvertire le regole della violenza e del possesso, della reificazione dei corpi e delle anime e ci muova a nuova dignità del pensare, sentire e agire comune.