Il diritto al tempo del coronavirus: cosa sta accadendo?
Stiamo tutti acquisendo consapevolezza del fatto che la crisi del coronavirus rappresenta un vero e proprio tornante della storia, da tanti punti di vista. Non poco cambierà – e sta cambiando già in questi giorni – anche sotto il profilo della quotidiana applicazione delle regole civilistiche. Siamo di fronte alla prima pandemia di dimensioni globali. Un evento inimmaginabile per estensione e per violenza: ciò accade nella cornice di un’economia globalizzata come prima non era mai stata. Il cortocircuito è micidiale: la dimensione del fenomeno sanitario eguaglia quella del contesto economico in cui si iscrive.
E questo cosa comporta per il nostro sistema delle regole civilistiche?
Tutti gli ordinamenti occidentali si fondano su un principio antico: pacta sunt servanda, i contratti vanno rispettati, senza se e senza ma. Per la prima volta, questo principio sembra incapace di reggere, di fronte a un fenomeno di sopravvenienza di enormi dimensioni: ci rendiamo conto che l’inadempimento delle obbligazioni assunte fino a ieri, in una larghissima fascia di ambiti, si fa quasi regola generale. D’altra parte, chi poteva prevedere una simile emergenza sanitaria?
Quali risposte il diritto può offrire?
Il diritto ha poche risposte sicure da offrire: è da attendersi che, a livello pressoché planetario, sarà opposta una sorta di gigantesca causa di forza maggiore per escludere profili di responsabilità per inadempimento in una quantità di rapporti giuridici di varia natura. Effetto probabile: la conflittualità che sta per aprirsi toccherà una massa incalcolabile di persone e di imprese, piccole o grandi.
Ma il diritto riesce a inquadrare il fenomeno che stiamo vivendo?
Gli esercizi di stile, per dare veste giuridica a quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, potrebbero essere inesauribili: si potrebbe dire che opera una sorta di clausola rebus sic stantibus sottostante all’intero mondo delle contrattazioni e che, intervenuta questa pandemia, risulti quindi giuridicamente fondata una revisione di tutte le contrattazioni. Al di là degli sforzi intellettuali, la questione è concreta e drammatica al tempo stesso: quante sono le aziende che riescono ad assorbire gli ordini di acquisto fatti prima della crisi? Insomma, il tema del coronavirus inteso in termini di sopravvenienza passiva richiede risposte commisurate alla dimensione del fenomeno.
Che dicono i nostri codici?
L’ordinamento italiano offre risposte “necessariamente” inadeguate: comunque, risposte né migliori né peggiori di quelle di tanti altri ordinamenti europei. L’eccessiva onerosità sopravvenuta contemplata nel nostro codice civile può condurre alla risoluzione contrattale oppure, a fronte della domanda di risoluzione, all’adeguamento del contratto: ma il meccanismo può bastare? Le teoriche dottrinali-giurisprudenziali messe in campo da decenni in materia di gestione delle sopravvenienze tentano di configurare obblighi di rinegoziazione fondati, in vario modo, sul principio di buona fede. Anche qui, sarà sufficiente?
Nel commercio internazionale che accade?
Per guardare al commercio internazionale, la contrattualistica conosce il modello dell’hardship: si tratta di una traccia metodologica interessante, ma è ben nota la tendenziale vaghezza del percorso segnato dall’hardship. V’è poi il rischio che vengano messi in discussione gli investimenti esteri verso le nostre imprese: potrebbe capitare, per esempio, che un investitore che aveva sottoscritto un impegno per l’acquisizione di una partecipazione in un’azienda in un’area particolarmente colpita intenda ora sottrarsi a quell’impegno. Nel mondo delle fusioni e acquisizioni, c’è materia quindi per attivare la clausola “MAC”, Material Adverse Change.
L’impatto giuridico del coronavirus si coglie anche su fronti diversi da quelli “classici” del diritto dei contratti?
Anzitutto, è coinvolto l’intero settore lavoristico: quanti sono i contratti di lavoro appesi a un filo? Vi è poi un enorme tema, che rischia di esplodere con leggero ritardo, legato alla responsabilità medica: non appena sarà passata l’emergenza, scopriremo quante e quali responsabilità saranno invocate sia in capo ai singoli medici che in capo alle strutture: anche qui, l’incertezza di premesse scientifiche sicure rende assai incerto l’intero quadro. E poi, ove si aprono ampi scenari di danno, sono i protagonisti del mondo delle assicurazioni a occupare quegli scenari: quale veste giuridica assumeranno le coperture assicurative di fronte a una patologia di cui ancora si sa ben poco? Ancora: siamo immersi in una stringente normativa in tema di privacy; eppure oggi si invocano metodi “cinesi” per superare la crisi sanitaria. Si comprende allora che la tutela dei dati personali si rivela ostativa rispetto a un intervento deciso ed efficace della mano dello Stato.
Vi sono quindi anche altri profili “di sistema”?
Sì, non è finita qui. Il tema delle tutele pubbliche rimanda a sua volta a quello, più ampio, delle libertà individuali che, nella nostra tradizione giuridica, non sopportano compressioni: oppure si può arrivare a teorizzare una sorta di primazia dell’art. 32 Cost. sugli altri valori costituzionali, per lo meno in fase emergenziale? La prospettiva è inquietante, quantomeno per l’eco che in essa si coglie di un certo quale “stato di eccezione”: alla Carl Schmitt, per intenderci.
E quindi che fare?
L’unica prospettiva di buon senso, di fronte a tanta incertezza, è quella rappresentata da una massiccia sperimentazione di tutte le vie che conducano a una rinegoziazione contrattuale, se del caso più o meno stimolata o assistita da mediatori; e poi il ricorso a forme arbitrali, magari snelle e non troppo onerose, che chiudano le conflittualità e riportino serenità nelle relazioni contrattuali, specie quelle di durata medio-lunga, tanto più quando quelle relazioni siano transnazionali. Il rischio è che altrimenti, entro breve tempo, sul tavolo dei nostri giudici finiscano controversie che hanno un sapore più filosofico che giuridico: era possibile o meno attenersi agli impegni presi prima del coronavirus? Potere, volere e “forza maggiore”. Ci sono tutti gli elementi per una tragedia.