I cambiamenti richiedono tempo, ma, in momenti di crisi, difficilmente se ne ha a disposizione e diventa allora necessario intervenire tempestivamente. Lo dimostra ciò che è avvenuto durante il primo periodo di emergenza sanitaria dovuto alla diffusione del Covid-19: le università, ad esempio, hanno dovuto adottare una nuova modalità d’insegnamento – la didattica a distanza – che è poi diventata strutturale al sistema. Il ricorso a strumenti informatici, come la didattica online e l’incremento dello smart working, inevitabile in questo momento di emergenza, può, però, in futuro, diventare abituale, contribuendo quindi a dare una spinta al processo di trasformazione digitale. I cambiamenti, infatti, in fasi emergenziale, vengono percepiti come necessari e quindi più facilmente e rapidamente accettati.
Lo dimostra la ricerca “Exploitation and exploration of IT in times of pandemic: from dealing with emergency to institutionalising crisis practices” nata dall’osservazione di come il confinamento forzato abbia reso possibile l’attuazione di pratiche – il telelavoro e la didattica online – già da tempo in programma nelle aziende, ma che non erano mai state concretizzate. L’analisi è a cura di Lapo Mola, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane all’università di Verona, Andrea Carugati, docente alla School of Business and Social Science dell’università di Aarhus, Danimarca, Marion Lauwers, docente di Management alla Universite Catholic di Lille, Loic Ple’ Ieseg e Antonio Giangreco, docenti all’IÉSEG School of Management Lille-Parigi.
Il lavoro è stato pubblicato sullo “European journal of information systems” e ha preso in considerazione le università in quanto sono state le organizzazioni che hanno reagito in maniera più tempestiva e in cui il cambiamento è stato pervasivo. Nello specifico, sono stati analizzati tre Paesi, diversificati in base al diverso grado di digitalizzazione: Italia, Francia e Danimarca. Per ciascun Paese sono stati presi degli enti di riferimento, rispettivamente il dipartimento di Economia aziendale dell’università di Verona, l’IESEG School of Management di Lille – Parigi, e il dipartimento di Management dell’Aarhus school of Business and Social Science dell’università di Aarhus, in Danimarca. “Questi tre paesi sono caratterizzati da un posizionamento diverso nel Digital economy and society index 2020 della Commissione europea, collocandosi rispettivamente al 25°, 15° e 3° posto”, spiega Lapo Mola. “Questa differenza nella digitalizzazione dell’ambiente rappresentava un prima variabile interessante”.
Lo studio ha permesso di evidenziare come le istituzioni si siano adattate all’emergenza in maniera simile, individuando un processo di cambiamento suddiviso in fasi comuni e operante su due livelli diversi, uno individuale e l’altro organizzativo.
“L’analisi dei dati ha evidenziato che le tre istituzioni hanno reagito in modo similare. In tutti e tre i casi, infatti, l’IT, ovvero le tecnologie informatiche, ha rappresentato lo strumento centrale per la risposta alla crisi Covid”, prosegue Mola. “Inoltre, in tutti e tre i casi abbiamo potuto osservare un processo di cambiamento in cinque fasi: sopravvivenza, socializzazione, normalizzazione, comportamento strategico e, infine, istituzionalizzazione delle pratiche emerse durante la crisi. Gli attori e le organizzazioni si adattano in modo progressivo alle nuove esigenze dettate dalla crisi con atteggiamenti differenti a seconda delle fasi”.
Conoscere il processo di adattamento alla crisi e le sue fasi può quindi consentire ai manager di anticipare le singole fasi o identificare in quale fase si trova l’organizzazione e prevedere quindi le più opportune azioni strategiche.
“L’emergenza che stiamo vivendo può consentire di accelerare il processo di trasformazione digitale facendo leva sulla fase di sopravvivenza. In tale fase, infatti gli utenti tendono ad accantonare atteggiamenti di resistenza al cambiamento focalizzandosi su ridotte priorità. Inoltre, i manager dovrebbero adottare un “active listening”, un ascolto partecipativo, favorendo un processo di appropriazione dal basso ed un reciproco adattamento tra le tecnologie e le pratiche lavorative. Infine, i manager dovrebbero coltivare gli effetti a lungo termine delle innovazioni nate dalla crisi”, concludono gli autori. “Infatti, i cambiamenti introdotti durante la crisi possono essere rapidamente abbandonati non appena gli attori percepiscono la possibilità di poter tornare ai vecchi modelli di comportamento”.