Durante quella che in molti hanno definito una vera e propria guerra contro il Covid-19, numerosi sono stati i fronti che hanno richiesto intervento. La sanità, durante la prima ondata, si è trovata sotto assedio e vi rimane ancora oggi. Il personale medico e infermieristico, sempre in prima linea, ha subito notevoli contraccolpi, di natura sia fisica che psicologica. La gravità della situazione, assieme ad un incremento esponenziale delle ore di lavoro e a un peggioramento delle condizioni d’impiego, ha causato un burnout degli operatori sanitari, che si sono trovati a dover combattere personalmente malattie fisico-emotive.
Le conseguenze che la diffusione del virus ha provocato sul personale ospedaliero sono state analizzate nello studio “The psychological impact of the COVID-19 pandemic on health care workers in a highly burdened area of north-east Italy” pubblicato sulla rivista scientifica Epidemiology and Psychiatric Sciences, che ha coinvolto oltre 2mila dipendenti dell’Aoui, l’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e fa parte del più ampio progetto di ricerca DISTRESS-H-COVID per esaminare l’impatto psicologico della pandemia sul personale in servizio nei due poli ospedalieri scaligeri durante la fase di lock-down di aprile e maggio 2020 e le sue conseguenze a lungo termine. Gli autori della ricerca sono Antonio Lasalvia, docente di Psichiatria e primo autore dello studio, Chiara Bonetto, tecnico di Psichiatria, Angela Carta e Stefano Porru, docenti di Medicina del lavoro, Chiara Bovo e Stefano Tardivo, docenti di Igiene generale e applicata, e Francesco Amaddeo e Mirella Ruggeri, docenti di Psichiatria.
Attraverso questionari standardizzati, compilati dal personale in maniera telematica, si è arrivati a coinvolgere un campione di 2195 persone, rappresentativo di tutti i dipendenti Aoui. I dati non sono incoraggianti e confermano i sospetti alla base della ricerca: l’86% del personale ha riportato elevati livelli di stress lavoro-correlato e il 63% ha vissuto, sul luogo di lavoro, esperienze fortemente stressanti o traumatiche, legate alla gestione dei pazienti Covid-19. Di questi, più della metà ha riportato sintomi di stress post-traumatico.
È stato rilevato anche l’insorgere di altre patologie: il 50% ha mostrato rilevanti sintomi d’ansia generalizzata, mentre segnali di depressione d’entità moderata sono stati misurati nel 27% dei casi. Lo studio ha poi mostrato come i più affetti siano stati coloro che hanno lavorato all’interno delle terapie intensive o dei reparti subintensivi. Tra le diverse categorie professionali, la più colpita è stata quella del personale infermieristico.
Alla fine del 2020 è stato accettato un secondo lavoro dello stesso gruppo di ricerca, intitolato “Levels of burnout among healthcare workers during the COVID-19 pandemic and their associated factors. A cross-sectional study in a tertiary hospital of a highly burdened area of north-east Italy” e che verrà a breve pubblicato sulla rivista inglese BMJ Open. Lo studio, condotto anch’esso all’interno del progetto di ricerca DISTRESS-H-COVID, ha misurato il burnout del personale Aoui durante la pandemia Covid-19. L’articolo ha messo in luce che il 38% degli operatori sanitari ha sviluppato sintomi di grave esaurimento emotivo, il 46.5% di ridotto senso di efficacia professionale e il 26.5% di importante disaffezione lavorativa. Il personale maggiormente colpito è risultato quello in servizio nelle Terapie intensive, soprattutto tra gli infermieri e gli specializzandi (che presentano un rischio di burnout di due volte e mezzo superiore rispetto ai medici strutturati).
“Studi simili sono stati condotti anche in Cina”, ricorda Lasalvia, “ma il personale sanitario italiano è stato maggiormente colpito da disturbi psichici e burnout, evidenziando come l’emergenza abbia impattato maggiormente sul nostro sistema sanitario. Le ricadute hanno gravato sulla capacità di risposta e tenuta emotiva dei lavoratori, che – al contrario dei colleghi cinesi – non avevano mai affrontato un’emergenza epidemica comparabile a quella attuale”.
L’analisi compiuta serve non solo a rendere consapevoli dei concreti e comprovati rischi che la situazione ha generato, ma è utile per il futuro. Offrire, ad esempio, supporto psicologico adeguato può essere utile per impedire che le condizioni di disagio abbiano ripercussioni sulla vita del singolo e, conseguentemente, sull’intero sistema. Lo studio è anche uno stimolo a proseguire l’attività di ricerca e a valutare, ad esempio, se le ricadute subite dal personale sanitario possano avere effetti persistenti e a lungo termine.
“Questi risultati appaiono particolarmente inquietanti”, conclude Lasalvia, “soprattutto in considerazione del fatto che molti degli operatori sanitari che hanno sviluppato disturbi psichici nel corso della prima ondata si trovano adesso a fronteggiare la seconda ondata pandemica senza avere avuto materialmente il tempo di riparare le ‘ferite psichiche’ inferte dalla fase precedente. Con quale sforzo e difficoltà ad attendere alle proprie incombenze professionali è facile immaginare”.
Infine, il gruppo di ricerca è attualmente impegnato nella preparazione un nuovo articolo in cui darà conto dell’impatto psicologico del lockdown di aprile-maggio 2020 in un altro gruppo di operatori messo particolarmente in crisi dalla pandemia. Quello dei medici di medicina generale.