Immaginate di essere in ufficio e di aver visto sul giornale un annuncio molto interessante, dal quale non riuscite a distogliere gli occhi. Automaticamente muovete la mano fino alla penna che avete posato pochi istanti prima e, senza bisogno di guardarla, la afferrate per cerchiare il titolo dell’articolo. Immaginate invece ora che un vostro amico vi stia lanciando una palla, senza avervi avvisato, per cui ve ne accorgete all’ultimo momento. Il vostro corpo si muove istintivamente: alzate le braccia per afferrare la palla o vi scansate, quasi all'ultimo momento, per evitare il colpo. Entrambi questi eventi devono molto alla rappresentazione che il nostro cervello fa dello spazio peri-personale, quello spazio che circonda il nostro corpo, dalla pelle e fino a circa 30 centimetri di distanza intorno a noi. Oggetti che entrano all'interno di questo spazio attirano immediatamente la nostra attenzione, permettendo di attivare reazioni difensive (come per la palla) o di pre-attivare l’azione in modo da adeguarla alle caratteristiche funzionali dell'oggetto da utilizzare/afferrare (come con la penna). Ma cosa succede alla rappresentazione di questo spazio quando alcune parti del corpo sono paralizzate?
Per rispondere a questa domanda Valentina Moro e Michele Scandola, ricercatori del Laboratory of Neuropsychology del dipartimento di Scienze umane dell’università di Verona, hanno condotto uno studio su pazienti affetti da lesione spinale e relativa paralisi e insensibilità degli arti inferiori. La risposta, frutto di questo lavoro, realizzato in collaborazione con Salvatore Maria Aglioti dell’università “La Sapienza” di Roma e Renato Avesani, del dipartimento di Riabilitazione dell’ospedale Sacro Cuore– Don Calabria di Negrar, è stata pubblicata su "Scientific Reports" del gruppo editoriale "Nature" nell’articolo “Spinal cord lesions shrink peripersonal space around the feet, passive mobilization of paraplegic limbs restores it”. “Lo studio – spiega Moro – mostra che nelle persone con paralisi agli arti inferiori la rappresentazione dello spazio “peri – personale” attorno ai piedi viene perduta, mentre resta normale intorno alle mani. Eppure, dopo solo un quarto d'ora di mobilizzazione passiva alle gambe di questi pazienti la percezione dello spazio viene recuperata”. “Questo nuovo risultato – aggiunge Scandola – dimostra la forte connessione tra attività motoria e cognitiva e apre la strada alla possibilità di ideare nuovi scenari terapeutici nei quali compiti di tipo cognitivo possano incrementare gli effetti della riabilitazione motoria.”
I futuri sviluppi di questa ricerca si spingono verso l’integrazione tra neuroscienze cognitive e riabilitazione, come dimostra il progetto “Techno – Cognitive strategies against maladaptive neuroplasticity” coordinato da Silvio Ionta dell’University of Lausanne e Hospital Center of Vaud in collaborazione con gli scienziati dell’ateneo veronese e recentemente finanziato dalla “International Foundation for Research in Paraplegia”. In questo quadro internazionale Valentina Moro è coordinatrice dell’International Group for Research into Spinal Cord Injury, un gruppo interdisciplinare per la ricerca sui meccanismi di neuroplasticità dopo lesioni al midollo spinale e i potenziali riabilitativi, in particolare relativamente ai processi di adattamento cognitivo e delle strategie messe in atto per il recupero dell’autonomia nella vita quotidiana. La ricerca realizzata da questo gruppo è il risultato dell’integrazione di idee, metodologie ed esigenze espresse da alcune strutture riabilitative sparse in tutta Italia, cinque laboratori di ricerca che integrano l’approccio neuroscientifico con metodologie psicologiche e antropologiche, tre università fra Italia e Svizzera, ed alcune associazioni di persone affette da lesione al midollo spinale.
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11.04.2016