Paolo Benvegnù, eclettico cantante del panorama indipendente italiano, ha raccontato la sua carriera al teatro Camploy, prima del concerto in programma per la sera. Tra parole e musica, la vita di un artista che ha scelto di rimanere se stesso, nonostante tutto.
Gli esordi. Ha iniziato a suonare quando aveva già 28 anni, “perché bisogna scrivere canzoni quando si ha veramente qualcosa da dire”, ha spiegato. I suoi primi brani non erano molto profondi però, stando a quello che ha raccontato. Non va molto fiero dei suoi esordi perché era un ragazzo presuntuoso e un po’ goffo. Eppure si capisce che questo per lui era l’unico modo per fuggire da una realtà difficile come quella del sotto proletariato milanese. “Sono scappato da Milano proprio quando potevo affacciarmi dalla finestra come piccolo borghese. Ma non me ne sono pentito, – ha aggiunto – perché se fossi rimasto adesso sarei un tecnico della telefonia molto incattivito”.
Il successo. Quando col suo primo gruppo ha vinto l’Arezzo wave, un festival musicale molto importante negli anni Novanta, è iniziato il successo. “Quello che se non stai attento ti fa perdere il contatto con la realtà”. Le etichette discografiche facevano a gara per accaparrarsi un gruppo di giovani talentuosi e pieni di grinta, ma Benvegnù voleva scrivere senza compromessi e per un certo periodo ha creduto di aver avuto la meglio sui discografici “grezzi e stupidi” che l’avevano scritturato. Alla fine, però, questi gliel’hanno fatta pagare non promuovendo un disco troppo pieno – secondo l’artista – di verità scomode sulla Milano da bere di quegli anni.
Il bilancio di una vita in musica. Alla fine si è trasferito a Firenze, dove la gente è più semplice e non si rischia di perdere il contatto con la realtà. Ha smesso per un lungo periodo di scrivere canzoni e ha iniziato a fare il fonico e a produrre i dischi di giovani artisti alle prime armi. Poi, dopo alcuni anni di inattività, ha conosciuto dei ragazzi – i suoi attuali compagni di viaggio – che gli hanno restituito la voglia di scrivere e di cantare. “Con loro la mia musica diventa migliore”, ha detto. E con loro ha ricominciato a suonare e, nell’ambito della musica underground, gira l’Italia portando la sua esperienza sopra tanti palcoscenici di provincia, dove il pubblico è poco ma l’energia che si sprigiona mentre canta e grande. E ha lasciato in bocca al suo pubblico un sapore meno amaro di quello che ci si aspetterebbe da un uomo che, in fondo, per non cedere a compromessi, ha scelto di rinunciare al successo