Ad Aquileia nuovi reperti di grande interesse archeologico sono stati riportati alla luce durante la terza campagna di scavo coordinata dall’università di Verona. L’intervento, che si è concluso il 23 giugno, ha svelato rilevanti aspetti planimetrici, costruttivi e decorativi dell’anfiteatro romano della località friulana. Aspetti che, secondo gli studiosi, possono far pensare ad una piccola “Arena di Verona” vista la similarità architettonica tra le due costruzioni.
A seguire i lavori una équipe del dipartimento Culture e Civiltà dell’ateneo scaligero, diretto da Gian Paolo Romagnani, con la supervisione della professoressa Patrizia Basso. L’intervento è stato condotto su concessione di scavo ministeriale, in accordo con la soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Ai lavori hanno partecipato anche gli studenti della laurea magistrale interateneo in Quaternario, preistoria e archeologia delle università di Verona, Ferrara, Trento e Modena, oltre a studenti, dottorandi e dottori di ricerca delle università di Verona (fra cui le responsabili Valeria Grazioli, Marina Scalzeri, Fiammetta Soriano, Elisa Zentilini), Bologna e dell’ateneo di Ghent, Belgio. Il supporto logistico è stato, invece, della ditta Sap, in particolare Alberto Manicardi.
L’anfiteatro romano di Aquileia era stato oggetto nel tempo di diverse indagini archeologiche. Grazie a tali interventi del monumento si conosceva l’ubicazione nel quadro della città romana, ma rimanevano ancora da chiarire numerosi aspetti architettonico-strutturali e l’inquadramento cronologico. L’area demaniale di scavo dell’università di Verona ubicata a palazzo Brunner in via Roma risultava particolarmente interessante sia perché in passato non era mai stata oggetto di scavi sia perché, sulla scorta della documentazione precedente, si capiva che vi si poteva studiare un’intera sezione dell’anfiteatro, dalla facciata esterna ove il pubblico entrava, fino all’arena dove si svolgevano gli spettacoli dei gladiatori e le cacce agli animali.
I risultati della campagna di scavo 2017. “Attraverso una serie di ampliamenti e approfondimenti mirati delle aree già scavate nel corso degli anni 2015–2016 – spiega la professoressa Basso – la campagna 2017 ha portato a grandi novità scientifiche per la comprensione dell’anfiteatro, tali da integrare la conoscenza che se ne aveva per tutta una serie di aspetti planimetrici, costruttivi e decorativi. In particolare quest’anno si è messa in luce un’intera porzione dell’ellisse dell’anfiteatro, compresa fra due dei corridoi radiali che permettevano l’ingresso all’arena: la modularità della costruzione e il confronto con i dati raccolti nel corso delle indagini otto e novecentesche ci hanno permesso così di ricostruire l’intera pianta del monumento. Si trattava di una costruzione davvero imponente che misurava 142 metri sull’asse maggiore e 107 metri sul minore, poco più piccola dell’arena veronese, cui era simile architettonicamente”.
L’edificio era interamente costruito su un sistema di murature ellittiche e radiali a sostegno delle gradinate, impostate su una poderosa massicciata di fondazione. Ai piedi della cavea si apriva una larga canaletta in mattoni sesquipedali in ottimo stato di conservazione, per quanto coperta dall’acqua di falda attualmente più alta rispetto all’età romana, oltre la quale si innalzava un muro che correva tutto attorno all’arena al fine di proteggere gli spettatori dagli animali che nello spazio agonale si scontravano con i gladiatori. Di questo muro si sono rinvenuti in crollo alcuni degli elementi architettonici che lo decoravano.
Di particolare interesse anche ai fini di un’eventuale, futura valorizzazione risultano alcune murature dell’edificio che si conservano in alzato per 1.70 metri in altezza: si tratta del muro ellittico e di alcuni dei muri radiali disposti su due raggiere concentriche a sostegno delle gradinate per il pubblico.
L’edificio dovette terminare il suo uso primario per spettacoli attorno al IV secolo dopo Cristo, come sembrano attestare alcune monete e materiali raccolti, ma conobbe presto una nuova frequentazione: i muri radiali ancora almeno in parte in alzato vennero infatti usati fra V e VII secolo per realizzare modeste strutture abitative di cui gli scavi hanno evidenziato piani d’uso e focolari. In seguito le murature antiche furono soggette a tutta una serie di spoliazioni che si protrassero nei secoli almeno fino al 1700, confermate in particolare dal rinvenimento di una larga calcara ove le pietre dell’edificio vennero trasformate in calce. “Tuttavia – aggiunge Basso – per quanto riguarda la puntuale definizione cronologica delle varie fasi di frequentazione del sito, come per quelle di costruzione e uso del monumento, si resta in attesa dello studio dei materiali raccolti e delle analisi al C14 e archeometriche, tuttora in corso di realizzazione” .
In sintesi gli scavi condotti dal 2015 ad oggi dall’Università di Verona hanno permesso di capire dimensioni, articolazione planimetrica e sistema costruttivo di questo monumento che doveva essere una delle costruzioni più grandi e complesse di Aquileia, in considerazione anche del terreno molto difficile dal punto di vista idrologico in cui esso venne realizzato, mettendo in luce murature ancora preservate in buona parte in alzato, fra le migliori per stato di conservazione di quelle che si conoscono nella città romana. “Facendo sistema anche con le università di Padova (Andrea Ghiotto) e di Udine (Marina Rubinich) che attualmente stanno scavando le vicine aree del teatro e delle terme – conclude Basso – con queste nuove ricerche si intende contribuire alla conoscenza dei grandi monumenti pubblici e alla ricostruzione della fisionomia urbana di una città come Aquileia che in età romana doveva essere una delle più importanti e ricche della Cisalpina”.