Durante la pandemia da Covid-19, i pazienti affetti da patologia oncologica, così come i loro caregivers, hanno affrontato due tipi di trauma potenzialmente cumulativi. Il primo legato allo status della propria malattia oncologica con la necessità di intraprendere o proseguire i percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali previsti; il secondo, non meno gravoso, imputabile al carico psicologico derivante dalla necessità di evitare il contagio da Covid-19 con le sue possibili conseguenze.
Qual è stato, dunque, il vissuto emotivo dei pazienti con patologia oncologica sottoposti a vaccinazione contro il Covid-19? L’obiettivo dello studio Vaccinate è stato quello di correlare i livelli di ansia, depressione e distress emotivo con la percezione soggettiva degli effetti protettivi della vaccinazione contro Covid-19, i timori sulla potenziale interferenza con i trattamenti antitumorali e lo stato di salute generale. Sono stati 1,089 i pazienti oncologici che hanno partecipato all’indagine, tutti sottoposti a vaccinazione contro il Covid-19, nell’ambito della campagna promossa dalla Rete oncologica veneta tra marzo e maggio 2021, negli ambulatori dell’Oncologia dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e dell’ospedale di Camposampiero.
Per migliorare il tasso di accettazione della vaccinazione e ridurne l’impatto, anche psicologico, sul paziente, la Rete oncologica veneta ha scelto di far sì che a vaccinare i pazienti oncologici attivi fossero direttamente oncologi e team infermieristici che avevano già in cura il paziente e con i quali il paziente avesse già un rapporto consolidato.
I risultati di questo studio, coordinato dall’università di Verona e appena pubblicati sulla rivista scientifica Plos One, indicano un tasso molto elevato di accettazione della proposta vaccinale (rispettivamente 98,3% a Verona e 94,7% a Camposampiero).
Il grado di confidenza dei pazienti sottoposti a vaccinazione è risultato molto elevato, con oltre l’85% di pazienti ragionevolmente convinti che la vaccinazione contro il Covid-19 potesse ridurre il rischio di contagio e farli sentire più al sicuro, senza interferire con il percorso di cura oncologico e con il proprio stato di salute generale.
“I risultati – commentano Michele Milella, Valentina Guarneri e Teodoro Sava, coautori dello studio – evidenziano come una condizione di ansia, depressione e distress emotivo di base rappresenti il principale fattore determinante la fiducia nei confronti della vaccinazione contro il Covid-19. Interessante, infine, come emerga che livelli più elevati di ansia, depressione e distress emotivo siano per lo più legati alla presenza e al tipo di diagnosi oncologica, piuttosto che alla situazione pandemica”.
“Pazienti con uno stato psicologico in equilibrio – aggiunge Daniela Tregnago, autrice principale dello studio – sono più disposti ad accogliere misure preventive e raccomandazioni sanitarie”.
“Questi risultati – rileva Giovanna Scroccaro del coordinamento regionale per le attività oncologiche – mettono in evidenza come un lavoro di squadra messo in atto in una logica di rete e con linee di indirizzo strutturate con precisione e largamente condivise tra i diversi Centri oncologici regionali possano ottenere risultati complessivi eccezionali. Questo studio si aggiunge ad una lunga serie di pubblicazioni su questo tema prodotte dalla Rov, a sottolineare come il lavoro svolto dalla Rete abbia un importante impatto scientifico, oltre che gestionale”.
“Questi dati – concludono Daniela Tregnago e Lidia del Piccolo co-autrici dello studio – confermano l’urgente necessità di gestire il disagio emotivo, psicologico e sociale, in circostanze “normali” e pandemiche in modo tempestivo ed efficace grazie a servizi di psico-oncologia dedicati e specialistici. Questa nuova ed improvvisa emergenza, trasposta nell’assistenza alla persona con malattia oncologica e ai suoi familiari, ci ha obbligati a riflettere sull’importanza del concetto di “prendersi cura dell’altro”: molto più profondo e complesso rispetto al semplice “curare”, è il principio al quale tutto il personale sanitario deve essere formato per meglio adeguare i propri strumenti”.
DOI: 10.1371/journal.pone.0290792
Sara Mauroner