“Una cena con amici, la lettura di una poesia, l’input per scrivere un libro”. Cosi il poeta Armando Lenotti, ospite della rassegna di incontri “Io scrivo, tu mi leggi” organizzata alla Frinzi, ha presentato il suo libro “Le morose vece”. Ha introdotto l’incontro Gian Paolo Marchi, docente di Letteratura italiana dell’università.
La raccolta. “Perché non dedicare un libro alle donne del mio passato?– ha introdotto Lenotti – C’era Gina, c’era Angela, c’era Francesca. Una raccolta, la mia, dedicata ai miei amori passati, alle “morose vece” appunto, alle mie ex ragazze”. Tutte le poesie che compongono il libro “Le morose vece: sonetti d’amore sugli anni della giovinezza”, sono state scritte rigorosamente in dialetto veneto, lingua madre del poeta. “Scrivere in dialetto – ha sottolineato Marchi – è oggi ricchezza. Il dialetto infatti, come la lingua italiana, ha una sua storia, una sua evoluzione ed elevata dignità culturale”.
La scelta stilistica. “Ho letto questo testo con minuziosa attenzione – ha sottolineato Marchi – Il sonetto, componimento noto alla nostra letteratura, è stato sapientemente gestito da Lenotti. Seguendo una struttura abbastanza canonica, i componimenti presentano una parte narrativa, un momento topico e la rima baciata, fatta eccezione per dodici poesie, negli ultimi due versi”. Utilizzando un dialetto tipicamente cittadino con linguaggi settoriali e termini arcaici, Lenotti segue le orme di Tolo da Re, poeta veronese.