È durato più di un ventennio, ma alla fine ha dato i suoi frutti. Uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature Medicine” e condotto da diversi ricercatori nazionali e internazionali tra cui le università di Innsbruck in Austria, di Cambridge in Inghilterra, di Harvard negli Stati Uniti e delle università di Verona e Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ha scoperto una proteina che porta al diabete attraverso l’induzione di processi infiammatori. La ricerca, con la collaborazione dei medici dell’ospedale locale, ha preso in esame la popolazione di Brunico dal 1990 al 2005 per valutare i fattori di rischio delle malattie metaboliche e cardiovascolari.
La ricerca. Protagonista di questo studio è la proteina Rankl, una delle proteine chiave nei meccanismi infiammatori che legandosi al suo recettore Rank, presente sulla superfiche delle cellule del fegato e su quelle beta del pancreas attiva un’altra proteina, la Nuclear factor B interna alla cellula, che a sua volta ordina l’attivazione di geni che innescano la reazione a catena dell’infiammazione. L’insulino-resistenza tipica del diabete è prodotta proprio da questa reazione. «Rankl è una proteina che svolge un ruolo importante nei processi di infiammazione presenti in malattie come l'artrite reumatoide e quella psoriasica – afferma Enzo Bonora, endocrinologo, docente all’università di Verona e presidente della Società italiana di diabetologia – gli stessi processi di infiammazione sono coinvolti nello sviluppo del diabete e delle malattie cardiovascolari». Bloccando questa proteina chiave in alcuni topi da esperimento, che se in quantità maggiore nel sangue porta ad un rischio più alto del 300-400% di contrarre la malattia, i ricercatori hanno ottenuto un miglioramento della sensibilità insulinica a livello del fegato e dunque un calo della glicemia. La scoperta è di enorme importanza perché potrebbe aprire la strada ad una terapia innovativa in grado non solo di trattare, ma forse anche di prevenire il diabete di tipo 2.