Svelata una nuova causa implicata nel danno cerebrale e nel deficit cognitivo nella malattia di Alzheimer che colpisce più di 35 milioni di persone nel mondo. Il lavoro intitolato “I neutrofili promuovono la patologia in corso di malattia di Alzheimer e il declino cognitivo attraverso l'integrina LFA-1" è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista statunitense Nature Medicine, punto di riferimento internazionale sia per ricercatori di base che per medici specialisti.
La scoperta scientifica dell'ateneo scaligero fornisce dunque un contributo fondamentale nella conoscenza della genesi dell'Alzheimer, gettando luce sul ruolo del sistema immunitario e dei neutrofili e identificando un nuovo potenziale approccio farmacologico nella malattia rappresentato dell'integrina LFA-1. La ricerca veronese ha il potenziale di essere rapidamente trasferita in clinica considerando che la terapia anti-integrine è stata già testata in pazienti con malattie autoimmuni.
Lo studio è stato curato dal team diretto da Gabriela Constantin, docente di Patologia generale del dipartimento di Patologia e diagnostica diretto da Aldo Scarpa. La professoressa Constantin è stata la prima donna in Italia a ricevere nel 2003 il Premio Rita Levi Montalcini per gli studi condotti sulle malattie infiammatorie del cervello. Nel 2010 è stata, inoltre, nominata outstanding female scientist dall'European Research Council. I componenti del gruppo di ricerca che hanno contribuito allo studio diretto da Constantin sono Elena Zenaro ed Enrica Pietronigro che condividono la posizione di primo autore dello studio, Vittorina della Bianca, Genny Piacentino, Laura Marongiu, Simona Budui, Stefano Angiari, Barbara Rossi, Silvia Dusi e Tommaso Carlucci. Lo studio scientifico rappresenta una ricerca ideata e sviluppata esclusivamente nell'ateneo veronese a cui hanno contribuito anche Bruno Bonetti, docente di Neurologia ed Ermanna Turano del dipartimento di Scienze neurologiche e del movimento con gli studi effettuati su materiale autoptico proveniente da pazienti con Alzheimer. Hanno, inoltre, fornito competenze specifiche Giorgio Berton, docente di Patologia generale, Sara Nani e Alessio Montresor del dipartimento di Patologia e diagnostica, Lucia Calciano del dipartimento di Sanità pubblica e medicina di comunità e Gabriele Tosadori del Centro di Biomedicina computazionale.
Lo studio è stato inoltre co-finanziato dall’Aism, associazione italiana Sclerosi multipla con la sua Fondazione (Fism).
La ricerca. Nello studio scaligero è stato dimostrato un ruolo inaspettato per le cellule del sistema immunitario, i globuli bianchi (chiamati anche leucociti), nell'induzione della patologia e del declino cognitivo in Alzheimer ed è stata identificata una nuova potenziale terapia per trattare la malattia. In tutte le malattie infiammatorie, un processo fondamentale è rappresentato dalla migrazione dei globuli bianchi dai vasi sanguigni nei tessuti, dove si sviluppa il processo patologico. Mentre nelle infezioni questo processo è essenziale per la difesa dell'organismo dall'agente patogeno, nel caso delle malattie infiammatorie "sterili", e quindi non dovute ad infezioni, la migrazione dei leucociti ha un ruolo patologico provocando un importante danno tessutale. Per studiare la migrazione dei globuli bianchi in modelli di Alzheimer è stata utilizzata la microscopia intravitale a due fotoni nel cervello, una metodica di avanguardia nell'identificazione del ruolo delle cellule del sistema immunitario nelle malattie cerebrali, per la quale il gruppo di Verona possiede un'expertise unica in Italia e fra le poche al mondo.
I ricercatori si sono focalizzati su una classe di leucociti chiamati neutrofili che sono i globuli bianchi più numerosi nel sangue e possiedono un ruolo fondamentale nelle malattie infiammatorie. “È stato scoperto che i neutrofili sono coinvolti nell'induzione della patologia in modelli sperimentali di Alzheimer ed è stata svelata la presenza di neutrofili nel tessuto cerebrale proveniente da autopsie effettuate su pazienti con Alzheimer – spiega Gabriela Constantin -. Lo studio scientifico ha inoltre identificato l'integrina LFA-1 (Leukocyte Function-Associated Antigen-1), una proteina presente sui neutrofili, in grado di mediare l'adesione di questi globuli bianchi alla parete dei vasi sanguigni e la loro successiva migrazione nel cervello. Il blocco terapeutico dell'LFA-1 è stato in grado di ridurre notevolmente la formazione di aggregati di materiale proteico formato da amiloide e tau che caratterizzano la malattia dal punto di vista neuropatologico e di impedire lo sviluppo del deficit cognitivo in modelli sperimentali di malattia di Alzheimer. Di particolare importanza per un’eventuale applicazione clinica è la dimostrazione, in questo studio scientifico, che la terapia di breve durata in grado di interferire con la funzione dei neutrofili ha un effetto benefico prolungato sulle funzioni cognitive se applicata nella fase inziale di malattia. Questo suggerisce che l'intervento terapeutico precoce proposto dal gruppo veronese possa essere molto efficace sulla malattia anche quando somministrato per tempi brevi e quindi con meno possibilità di sviluppo di effetti collaterali”.
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza. Si stima che nel 2030 circa 66 milioni di persone avranno l’Alzheimer e che nel 2050 ci saranno 115 milioni di pazienti con un notevole impatto sociale ed economico. La malattia ha una durata di 3-9 anni e al momento non esiste alcuna cura o terapia in grado di interferire con il suo decorso. La patologia in corso di Alzheimer è caratterizzata dalla presenza di depositi di materiale fibrillare formato da amiloide e proteina tau, perdita di neuroni e alterazione della funzione delle sinapsi dei neuroni che assieme portano a deficit cognitivo e demenza. Recentemente è stato suggerito un ruolo dell'infiammazione e del sistema immunitario nella patogenesi dell'Alzheimer, ma i processi infiammatori che promuovono il processo patologico in corso di questa malattia sono largamente sconosciuti.
27.07.2015