Il Collegio dei Grandi Elettori ha deciso: il 45mo Presidente degli Stati Uniti d’America sarà Donald Trump. È la conclusione di una campagna elettorale condotta all’insegna della negatività e delle accuse, colpi duri e violenti sferrati da entrambi i candidati con toni da disprezzo reciproco e oculatamente amplificati dal ring mediatico.
Così facendo però è emerso ciò che più conta per l’Americano comune, al di là della salute pubblica e del bilancio economico, al netto della politica estera e del programma nucleare, oltre l’ISIS, la Russia e gli attacchi informatici: ciò che ha diviso e polarizzato, ciò che forse ha fatto decidere sono stati temi quali evasione fiscale, razzismo e (mancanza di) rispetto per la persona, (ir)responsabilità istituzionale, (mancanza di) trasparenza e falsità. Su tali questioni, che interrogano la persona prima ancora che l’aspirante leader, entrambi i candidati in un modo o nell’altro hanno fallito: sia il capitalista di Manhattan, prodotto dello stesso establishment che condanna, sia la ex first lady della Casa Bianca e politica di lungo corso. E Clinton sembra aver fallito più di Trump.
In un clima mondiale di ansia politica, di fratture sociali, di scetticismo culturale, il nuovo Presidente americano ora dovrà guadagnarsi la fiducia, il rispetto ed il sostegno che non ha saputo conquistare appieno fino ad ora. Donald Trump dovrà agire, non per rovesciare l’establishment, ma per il bene delle persone comuni, Americani e non, e forse anche per evitare che Hillary Clinton, dopo aver perso le elezioni l’8 novembre, riesca a vincerle nei prossimi quattro anni.
Roberta Facchinetti
09.11.2016