Sono rimasti solo in 14 esemplari. Gli ultimi, orgogliosi rappresentanti della gloriosa specie dei rinoceronti di Sumatra trascorrono la loro esistenza in cattività nell'isola del Borneo. È questo il loro "miglio verde", il luogo in cui sono destinati inesorabilmente all'estinzione, vittime delle tare genetiche e dei problemi di salute associati a un'esistenza endogamica e dunque all'impossibilità di avere figli sani. L'unica speranza sarebbe ricreare artificialmente quella variabilità genetica che consenta la sopravvivenza e introdurla nel loro dna. Fantascienza? Per niente. E non è un caso che si chiami l"Arca di Noè" l'ambizioso progetto che unisce Verona, Trento e la Sabah Foundation, che nel Borneo malese si occupa di salvaguardia della biodiversità, proprio con l'obiettivo di salvare dall'estinzione i rinoceronti di Sumatra e, potenzialmente, qualsiasi altra specie.
"Tutto è cominciato la scorsa estate con un viaggio nel Borneo per sequenziare, ovvero estrarre, leggere e decodificare il codice genetico di una curiosa e minuscola specie di rane, quella delle cascate", spiega Massimo Delledonne, direttore scientifico di Personal Genomics, spin-off dell'università di Verona che insieme all’Ateneo veronese e al Muse, Museo delle Scienze di Trento, ha messo a punto un kit: un laboratorio mobile che sta in una valigia, con il quale è possibile "leggere" il dna ovunque, persino nella foresta. Con conseguenze inimmaginabili in tema di tutela e salvaguardia delle specie, anche delle più rare e delicate.
Ed è là, infatti, nella field station nella Maliau Basin Conservation area, uno dei migliori luoghi al mondo in cui ammirare le meraviglie della foresta pluviale e dove operano ricercatori di tutto il mondo, che lo scorso luglio Massimo Delledonne e Michele Menegon del Muse, sono venuti a conoscenza del destino, segnato, dei rinoceronti di Sumatra e hanno accettato l’invito dei malesi di leggere il genoma di tutti e 14 i rinoceronti rimasti così da permettere, in un futuro davvero prossimo, la creazione di una sorta di "Jurassic Park" delle specie animali in pericolo. Con la differenza che invece di riportare in vita quelle già scomparse, ora potenzialmente inadatte agli habitat del pianeta, il nuovo “Endangered Park” darebbe una seconda possibilità a quelle che ancora potrebbero sopravvivere, se non fosse il comportamento dell’uomo a condannarle alla progressiva scomparsa.
Un’operazione unica e avveniristica, rimbalzata come prevedibile sulle prime pagine dei giornali malesi e non solo. "Non si tratterebbe di clonare gli animali, come avvenuto nel celebre caso della pecora Dolly", prosegue Delledonne, "ma di produrre, in laboratorio, un dna sintetico di alta qualità, da inserire quindi senza difetti nella cellula uovo dell'animale per consentire la nascita di un esemplare sano".
L'ultima spiaggia, in combinazione con le tecnologie riproduttive, per salvare quello che è il più grande mammifero al mondo che rischia di estinguersi, dopo che tutti gli sforzi per favorire la nascita di individui sani, finora, sono risultati inutili. "È questa la nostra Arca di Noè: leggere il dna e introdurre "a mano" quelle differenze che servono perché una specie in via di estinzione possa continuare a vivere. O addirittura, in futuro, per arrivare alla de-estinzione", conclude Delledonne, "cioè a riportare in vita una specie già scomparsa, a partire dai frammenti di dna rintracciabili in ossa, peli, piume conservati nei musei".
“Essere al punto di dover produrre dna sintetico per evitare che una specie come il Rinoceronte di Sumatra si estingua, la dice lunga sul rapporto compromesso che la società degli uomini ha con i sistemi naturali da cui dipende” continua Michele Menegon “i ricercatori, infatti, si augurano che in futuro si debba ricorrere sempre meno a tecniche di ingegneria genetica per garantire la sopravvivenza a specie come il Rinoceronte, ma che si trovi il giusto equilibrio tra le necessità di sfruttamento delle risorse naturali e la salvaguardia delle ambienti e delle specie selvatiche”.
29.11.2016