Identificato un nuovo meccanismo che spiega il legame tra attività fisica e ridotto rischio di neoplasie gastrointestinali, soprattutto di cancro del colon-retto. A rivelarlo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Oncotarget realizzato da un gruppo di ricerca al lavoro tra la sezione di Biochimica clinica e la sezione di Scienze motorie afferenti al dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’università di Verona e la New York university school of Medicine. La scoperta è il risultato della collaborazione tra i due centri di eccellenza come dimostrano dalle classifiche sulla qualità della ricerca che vedono la New York University School of Medicine tra i primi posti tra le facoltà mediche delle Università americane e l’università di Verona prima in classifica tra gli atenei italiani per la ricerca in ambito biomedico
È ormai noto da anni come l’attività fisica rappresenti uno dei presidi più efficaci per ridurre il rischio di molte patologie croniche, mortali o disabilitanti, tra le quali le malattie cardiovascolari, il diabete, l’osteoporosi, le malattie autoimmuni e, non ultimo, il cancro. Ciò nonostante, i meccanismi precisi con cui l’attività fisica esercita i suoi effetti benefici sulla salute rimangono in larga parte oscuri.
“Si è scoperto che una corsa di media distanza è in grado di ridurre sostanzialmente la concentrazione di acidi biliari nel sangue, soprattutto quelli più nocivi – spiega Giuseppe Lippi, responsabile della sezione di Biochimica clinica dell’università – Questo è stato reso possibile grazie all’utilizzo di una strumentazione di ricerca molto sofisticata e precisa, quale la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem (LC-MS/MS) con rilevazione a triplo quadrupolo. Gli acidi biliari provocano un danno diretto alle cellule, imputabile al potenziamento dello stress ossidativo, al danneggiamento diretto di Dna e mitocondri, all’inibizione dei processi di proliferazione neoplastica e all’aumentata resistenza delle cellule neoplastiche ai meccanismi immunitari che ne contrastano la crescita”.
Lo studio è stato respo possibile grazie ai risultati raccolti durante le quattro edizioni di “Run For Science”, progetto di ricerca sulla corsa, ideato da Scienze motorie dell’ateneo scaligero, che dal 2014 si tiene ogni anno a Verona, volto ad approfondire a livello scientifico diversi aspetti che riguardano la mezza maratona e la maratona.
“La scoperta che una corsa di durata e intensità media possa disinnescare, almeno in parte, l’effetto cancerogeno degli acidi biliari del sangue – aggiunge Federico Schena, responsabile della sezione di Scienze motore e coordinatore del progetto “Run For Science” – rappresenta un’ulteriore conferma di come sia necessario promuovere ulteriormente l’attività fisica, in termini di durata e frequenza, per ridurre il rischio di sviluppare questa e altre forme di tumori nelle quali gli acidi biliari concorrono alla patogenesi, come tumori del pancreas, delle vie biliari e dello stomaco”.
La riduzione di acidi biliari nel sangue conseguente all’attività fisica potrebbe inoltre essere considerato uno presidio terapeutico aggiuntivo anche per le pazienti che abbiano già ricevuto una diagnosi di tumore. “Dai risultati che abbiamo conseguito in questo studio – concludeLippi – si dimostra che non serve diventare atleti per godere di questi benefici, poiché la riduzione degli acidi biliari nel sangue è indipendente dall’intensità dell’esercizio, ma si correla solo alla sua durata”.
Il contesto della Run For Science
La “Run For Science” – spiega Federico Schena – è un progetto di ricerca sulla corsa, ideato nel 2014 da Scienze Motorie dell’Università di Verona e che ha appassionato diverse Università Italiane, Europee e Statunitensi. L’evento è organizzato con cadenza annuale, da ormai 4 anni (l’ultima edizione si è tenuta il 2 Aprile 2017). La finalità è studiare e approfondire a livello scientifico diversi aspetti che riguardano la corsa della mezza maratona e maratona, come ad esempio l’efficienza muscolare, cardiovascolare e metabolica, oltre ad aspetti psicologici. Coinvolge oltre 200 soggetti volontari dai 20 agli 80 anni e consiste nel sottoporsi a misure antropometriche (peso, altezza, composizione corporea), cognitive (valutazione mediante questi o sistemi informatici), condizionali (forza, elasticità, sensibilità), funzionali (dispendio energetico, precisione) ed biochimiche (prelievo di sangue) prima e dopo la corsa. Il giorno dell’evento gli sciencer – atleti amatori che si mettono in gioco – penseranno solo a correre i 21 o 42 km della prova e a divertirsi, mentre i ricercatori avranno il compito di misurare, valutare, raccogliere informazioni. I partner sono: Università degli studi di Verona, Università degli studi di Torino, Università degli studi di Roma, Università degli studi di Brescia, Università degli studi di Milano, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Centro Ricerca Sport Montagna e Salute (CeRiSM), Roma Foro Italico, New York University School of Medicine, German Sport University di Colonia, Università di Valencia.
04.05.2017