Pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Neurology” uno studio che individua un potenziale nuovo fattore di rischio per lo sviluppo di malattie neurodegenerative. La ricerca è stata coordinata da Donato Zipeto del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, in collaborazione con Stefano Tamburin, Giovanni Malerba e Maria Grazia Romanelli dello stesso dipartimento, con Davide Gibellini del dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, e con il Servizio trasfusionale (Guizzardi e Muraro) e l’Unità di malattie infettive (Lanzafame, Rizzardo e Lattuada) dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona. Fondamentale il contributo delle giovani ricercatrici Michela Serena, Simona Mutascio, Francesca Parolini ed Erica Diani.
Lo studio
Le infezioni virali rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi neurodegenerativi. In gran parte sconosciuti sono i meccanismi molecolari che collegano le alterazioni del sistema immunitario associate all’invecchiamento, l’infiammazione e la patogenesi di disturbi neurodegenerativi quali la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson. L’infezione da HIV-1 è associata a complicanze neurologiche come AIDS Dementia Complex, (ADC), che condividono diverse caratteristiche patologiche con la malattia di Alzheimer e lo studio di questa patologia può essere utile alla comprensione della relazione tra infezioni virali, neuroinfiammazione (infiammazione cronica a livello cerebrale) e neurodegenerazione.
“Questo studio – spiega Zipeto – si è basato su diverse osservazioni preliminari sia genetiche sia molecolari che coinvolgono il sistema immunitario e la risposta infiammatoria. La β2-microglobulina (β2m) è un importante fattore pro-invecchiamento che interferisce con la genesi di nuovi neuroni e peggiora le funzioni cognitive. Studi pubblicati negli anni ’80 -’90 riportavano la presenza di alti livelli di β2m nel liquido cerebrospinale di pazienti con complicanze neurologiche da HIV-1, senza però spiegarne il significato. Alti livelli di β2m sono stati rilevati anche nella malattia di Alzheimer. Le malattie infiammatorie negli anziani sono associate a polimorfismi del locus MHC-I che codifica per molecole di HLA che, associandosi a β2m, contribuiscono all’immunità cellulare”.
Il gruppo di ricerca di ateneo, autore dell’articolo, ha recentemente riportato che l’HLA-C, non più associato a β2m, è incorporato nei virioni dell’HIV-1, determinando un aumento dell’infettività virale. Ha inoltre documentato la presenza di varianti HLA-C più o meno stabilmente legate a β2m. Queste osservazioni hanno portato il gruppo di ricerca veronese ad ipotizzare che alcune varianti di HLA-C, in presenza di infezioni virali, possano determinare un maggiore rilascio e accumulo di β2m, che, a sua volta, potrebbe essere coinvolta nell’innesco e/o nel sostentamento di processi neuroinfiammatori. I risultati presentati nello studio ora pubblicato, mostrano una maggiore frequenza di alleli HLA-C instabili nei pazienti con ADC.
“Questi dati – aggiunge il coordinatore – anche se ottenuti su un numero limitato di soggetti, ma accuratamente selezionato per la patologia in oggetto, suggeriscono che varianti di HLA-C con legame instabile alla β2m potrebbero essere più frequenti in soggetti HIV-1 positivi che sviluppano patologie neurologiche e, più in generale, aprono nuovi scenari di ricerca sui meccanismi coinvolti nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, inclusa la malattia di Alzheimer. L’individuazione di specifiche varianti di HLA-C quali fattori di rischio potrebbe essere di aiuto per la diagnosi precoce, per un approccio di medicina personalizzata e per lo sviluppo di nuove terapie per prevenire complicanze neurologiche”.