Un gruppo internazionale di scienziati tra cui Davide Melisi, professore di Oncologia medica dell’università di Verona e ricercatore sostenuto da Fondazione AIRC, ha identificato una nuova strategia terapeutica per il trattamento dei pazienti affetti da tumori delle vie biliari in stadio avanzato. Gli scienziati hanno dimostrato come una adeguata profilazione genomica di questi tumori alla diagnosi sia fondamentale per permettere il trattamento con pemigatinib, un farmaco in grado di inibire l’attività di FGFR2, uno dei principali recettori responsabili della crescita e diffusione della malattia. Il nuovo farmaco può infatti aumentare in maniera statisticamente significativa la sopravvivenza sia generale sia libera da progressione dalla malattia dei pazienti affetti da tumori delle vie biliari intraepatici, peraltro con un profilo di tossicità molto favorevole.
“I tumori delle vie biliari – ha dichiarato Melisi – sono da sempre stati considerati tra le neoplasie umane più letali e meno esplorate. Oggi grazie agli importanti progressi nelle tecnologie che permettono il sequenziamento genico, ovvero la lettura degli errori che si accumulano nel DNA dei pazienti, sappiamo che una grossa parte dei pazienti ha malattie biologicamente più “semplici”, che sono sostenute nella loro crescita da pochi “errori” nei geni. Oggi per questi geni mutati abbiamo a disposizione farmaci che ne riescono a correggere gli effetti”.
I risultati della ricerca sostenuta da Fondazione AIRC sono stati ottenuti nei laboratori dell’Unità di oncologia molecolare dell’apparato digerente e sono stati pubblicati su Cancer Discovery, la rivista a maggiore fattore d’impatto fra quelle edite dall’American Association for Cancer Research.
“Analizzando il genoma di più di 1200 pazienti, in questo studio abbiamo descritto nel modo più preciso possibile le alterazioni molecolari che sembrano essere responsabili dello sviluppo di queste neoplasie. Soprattutto, abbiamo identificato quali di queste mutazioni possano contribuire alla selezione dei pazienti che più probabilmente potranno beneficiare delle terapie a bersaglio molecolare e indicare le ragioni dell’eventuale resistenza. Si apre così una nuova era per il trattamento di questi tumori, dalla chemioterapia al trattamento a bersaglio molecolare.”