Dallo yoga alla camminata, all’allenamento funzionale, lo sport può davvero favorire il benessere e la salute mentale nelle persone più vulnerabili, come i richiedenti asilo. Questo il risultato emerso dallo studio “Efficacy of physical activity interventions on psychological outcomes in refugee, asylum seeker and migrant populations: A systematic review and meta-analysis” pubblicato sulla rivista Psychology of Sport and Exercise, ad opera di un gruppo di ricerca dell’ateneo guidato da Corrado Barbui, docente di Psichiatria, e Federico Schena, direttore vicario del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, con prima autrice Marianna Purgato. Altre autrici dell’ateneo sono Francesca Vitali, Michela Rimondini, Doriana Rudi, Eleonora Prina e Lidia del Piccolo.
Lo studio è stato condotto in collaborazione con la Victoria University di Wellington (Nuova Zelanda), università di Cagliari, University of Münster (Germania), con i finanziamenti del MIUR, come Progetto dipartimento di Eccellenza del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento.
“Abbiamo condotto una revisione sistematica, utilizzando la metodologia Cochrane, un rigoroso metodo di analisi scientifica, per testare l’efficacia degli interventi di attività fisica sulla salute mentale in popolazioni vulnerabili come i richiedenti asilo, rifugiati e migranti”, spiega Marianna Purgato. “Abbiamo raccolto 27 studi che coinvolgevano più di 4000 persone”, aggiunge Francesca Vitali. “Le attività fisiche proposte nelle sperimentazioni includevano diverse tipologie di allenamento come camminata, yoga, allenamento funzionale e attività miste individuali e di gruppo”.
Le popolazioni coinvolte erano migranti o rifugiati adulti che vivevano nel Paese ospitante da periodi variabili (da alcuni mesi ad alcuni anni), che presentavano spesso sintomi psicologici o difficoltà legate ad esperienze pre-migratorie, migratorie e di insediamento nel nuovo Paese, come ad esempio difficoltà con l’apprendimento di una nuova lingua.
“I risultati delle meta-analisi hanno messo in luce un effetto benefico significativo dell’attività fisica nel migliorare le strategie di coping e auto-efficacia, il funzionamento generale, le aspettative verso le proprie capacità e nel ridurre i sintomi psicologici”, concludono le ricercatrici. “I risultati dello studio aprono la strada alla possibilità di incentivare interventi di attività fisica in popolazioni vulnerabili, utilizzando lo sport come veicolo di socializzazione, e come strategia per promuovere il benessere attraverso lo stile di vita. A questo proposito sta partendo uno studio osservazionale, che è parte delle attività del dipartimento di Eccellenza, che vede la collaborazione tra il Centro di ricerca Oms e Scienze motorie per offrire interventi di attività fisica a richiedenti asilo, rifugiati e migranti”.