Alzheimer, demenze, parkinsonismi, malattie del movimento. Come la neuroradiologia può intervenire per la diagnosi e la cura di queste patologie? In un futuro prossimo, quasi presente, queste tecnologie potrebbero essere di supporto anche per monitorare gli effetti di nuove terapie? Su queste tematiche esperti del panorama scientifico veronese, veneto ed internazionale si sono confrontati durante il convegno dal titolo “Focus on – Neuroradiologico Veneto sui parkinsonismi e demenze”, che si è tenuto nell’aula magna della Lente didattica del Policlinico Rossi, venerdì 17 dicembre. L’evento è stato organizzato dall’Università di Verona, insieme all’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, oltre che alle principali società scientifiche di riferimento.
Responsabile scientifica del progetto è la neuroradiologa Francesca Benedetta Pizzini affiancata nel comitato scientifico da Giancarlo Mansueto ordinario di Radiologia e direttore dell’Istituto di Radiologia di Verona e da Michele Tinazzi ordinario di neurologia e responsabile del Centro regionale specializzato per la Malattia di Parkinson e Disordini del movimento, direttore Usd Parkinson e Disturbi del movimento.
“La comunità clinica neurologica è in fermento – spiegano gli organizzatori – da una parte, perché sono prossimi i risultati di diversi trials sull’uso di anticorpi monoclonali nelle demenze e, dall’altra, per una sempre maggiore consapevolezza che il ruolo della risonanza magnetica non sarà più solo limitato alla diagnosi, ma anche al monitoraggio delle nuove terapie. Anche nell’ambito dei disturbi del movimento la radiologia può superare i limiti tradizionali della diagnosi di esclusione e offrire informazioni diagnostiche positive attraverso l’utilizzo di specifiche sequenze e valutazioni delle strutture coinvolte”.
“Negli ultimi 15 anni il ruolo della risonanza magnetica nelle malattie neurodegenerative è stato rimpiazzato dai biomarcatori liquorali e di medicina nucleare sensibili alle fasi precoci della malattia. L’approvazione nel giugno di quest’anno del primo farmaco eziologico nella storia della malattia di Alzheimer – rileva la ricercatrice – porterà a una ridefinizione radicale del ruolo della risonanza magnetica per la necessità di un monitoraggio degli effetti collaterali del trattamento, i cosiddetti Aria, amyloid-related imaging abnormalities. Al tempo stesso, gli anticorpi monoclonali antiamiloide sono l’apripista di un futuro che vedrà trattamenti personalizzati anche verso alfa-sinucleina per le malattie neurodegenerative del movimento”.