Durante quella che in molti hanno definito una vera e propria guerra contro il Covid-19, numerosi sono stati i fronti che hanno richiesto intervento. In particolare, il personale sanitario si è trovato sotto assedio e vi rimane ancora oggi. Da qui la necessità dello studio “The Sustained Psychological Impact of the COVID-19 Pandemic on Health Care Workers One Year after the Outbreak—A Repeated Cross- Sectional Survey in a Tertiary Hospital of North-East Italy”, pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, che ha rivalutato l’impatto psicologico subito dal personale dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata dopo una precedente valutazione effettuata ad aprile-maggio 2020.
Primo autore dello studio è Antonio Lasalvia, docente di Psichiatria, con la collaborazione di Chiara Bonetto, funzionario tecnico-statistico del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, sezione di Psichiatria, Angela Carta e Stefano Porru, docenti di Medicina del lavoro, Francesco Amaddeo, docente di Psichiatria, Ranieri Poli, docente di Igiene generale e applicata e Luca Bodini, dottorando in Psichiatria.
La ricerca ha messo in evidenza che, a distanza di un anno dall’inizio della pandemia, lavorare all’interno dell’ospedale ha prodotto ulteriore sofferenza emotiva negli operatori, i quali si sono trovati a gestire nel corso del biennio 2020-2021 tre ondate pandemiche. Attraverso questionari standardizzati, compilati dal personale in maniera telematica, si è arrivati a coinvolgere un campione di 1033 persone, rappresentativo di tutti i dipendenti Aoui, azienda ospedaliera universitaria integrata. I dati raccolti mostrano che le persone con livelli elevati di ansia sono passate dal 50% al 56%, quelle con depressione dal 27% al 41%, quelle in burnout, ovvero esaurimento su piano emotivo, dal 29% al 41%.
“L’incremento – spiega Lasalvia – si è mantenuto stratificando per profilo professionale e reparto, con un incremento più marcato per la depressione e il burnout. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, gli infermieri rappresentano la categoria professionale a maggiore rischio di ansia e depressione, mentre gli specializzandi a maggiore rischio di burnout, soprattutto per quanto riguarda il senso di efficacia professionale. Lavorare in contesti di terapia intensiva si associa ad un aumentato rischio di sviluppare maggiore esaurimento emotivo e un atteggiamento di maggiore distacco dal lavoro”. Inoltre, alla luce dell’aggravamento del livello di sofferenza emotiva del personale sanitario a causa dell’incessante stato emergenziale protrattosi ormai per due anni, lo studio ritiene utile programmare e testare l’efficacia di un progetto di intervento in grado di ridurre in queste persone il livello di disagio che si ripercuote negativamente sul lavoro quotidiano a beneficio dei pazienti.