Un graduale accumulo tossico di ferro nell’organismo e il possibile sviluppo di cirrosi e tumori epatici, artrite, scompensi cardiaci, diabete e altre disfunzioni endocrine: questi i seri danni che può provocare l’emocromatosi se non diagnostica in tempo.
Nuove e importanti informazioni su questi aspetti, in particolare la ridefinizione e la riclassificazione della malattia genetica rara, arrivano da uno studio, durato oltre due anni, coordinato dall’equipe di Domenico Girelli, docente di Medicina interna dell’ateneo scaligero, con il contributo di Fabiana Busti, ricercatrice di Medicina interna e di Giacomo Marchi, dirigente medico dell’unità di Medicina d’urgenza dell’Azienda ospedaliera di Verona, diretta dal professor Girelli.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Blood, che dedicherà alla ricerca scaligera anche un editoriale commentato dalla redazione sull’impatto che si prevede avrà questo aggiornamento nella pratica clinica in termini di “best practice”, oltre ad una successiva diffusione attraverso un podcast dedicato sul sito.
L’emocromatosi è una malattia genetica insidiosa che insorge lentamente e si manifesta in genere nell’età adulta, anche dopo i 40-50 anni poiché il ferro svolge la sua azione tossica in modo lento e progressivo, impedendo così ai medici di individuare sintomi specifici nelle prime fasi e diagnosticando il disturbo solo negli stadi avanzati, quando spesso i danni sono ormai gravi.
Per questa ragione la diagnosi precoce è essenziale in quanto, con l’opportuno trattamento, è possibile prevenire le complicanze e, al contempo, riportare il soggetto malato ad una aspettativa di vita del tutto normale. Tuttavia, la diagnosi stessa è, non di rado, tutt’altro che semplice dal momento che le basi genetiche sono molto eterogenee e diversificate con la presenza di mutazioni in almeno sei diversi geni e i marcatori laboratoristici tradizionali, soprattutto la ferritina, possono essere difficili da interpretare.
“Anche con questo obiettivo, la nuova classificazione – spiega Busti – è destinata a facilitare il dialogo tra i medici non specialisti e i centri specializzati, in modo da migliorare la selezione iniziale dei casi sospetti. Si eviteranno così, da un lato, esami costosi e inutili in coloro che non ne hanno bisogno e, dall’altro, ritardi diagnostici inappropriati e pericolosi in coloro che sono realmente affetti dall’emocromatosi”.
“La nuova definizione di emocromatosi – conclude Marchi – consente, inoltre, di distinguere con maggior precisione malattie simili, ma con diverso andamento clinico e biochimico quali, ad esempio, la malattia della ferroportina, l’unica proteina dell’organismo umano atta al trasporto del ferro dall’interno e all’esterno di una cellula. Infine, grazie a questa nuova ricerca, specialisti e non potranno ricorrere in modo più mirato ai test diagnostici di secondo livello disponibili nei centri specializzati, quali il Next Generation Sequencing, il dosaggio dell’epcidina, e la risonanza magnetica con protocolli specifici e calibrati, utili alla quantificazione del ferro corporeo”.
“Questa pubblicazione – commenta Girelli – rappresenta un riconoscimento ai massimi livelli internazionali della Scuola internistica veronese inaugurata da Giorgio De Sandre e Roberto Corrocher. Negli anni, grazie alla continua ricerca clinica e all’implementazione di modelli assistenziali innovativi, Verona è diventata punto di riferimento nel settore dei disturbi del metabolismo marziale, fino ad arrivare all’accreditamento nel gruppo interdisciplinare per le malattie del ferro (GIMFer) come centro di eccellenza europeo all’interno del network EuroBloodNet per le malattie ematologiche rare”.
Al professor Girelli è stata recentemente affidata la redazione del capitolo sull’emocromatosi di UpTodate, la piattaforma per l’aggiornamento continuo in medicina clinica tra le più diffuse e autorevoli a livello internazionale.
In foto da sinistra: Giacomo Marchi, Domenico Girelli, Fabiana Busti