I danni dell’inquinamento sulla salute della popolazione sono ben noti. A confermarli i numerosi studi condotti a livello internazionale negli ultimi anni. Quelli che però ancora non conosciamo bene sono gli esiti della gravidanza legati all’esposizione preconcezionale e in utero all’inquinamento atmosferico e alla presenza di spazi verdi.
Ed è proprio questo l’obiettivo del progetto Life-Gap Project sviluppato dall’università di Verona e dall’università norvegese di Bergen i cui risultati sono stati presentati a Milano in occasione del congresso annuale della European Respiratory Society (Ers). Lo studio è finanziato dal Research Council of Norway e dall’Università di Bergen.
“Lo studio fa parte di un più ampio programma di ricerca denominato Life-GAP (Lifespan and inter-generational respiratory effects of exposures to greenness and air pollution) che sta analizzando gli effetti di lungo termine dell’inquinamento atmosferico e degli spazi verdi sulla salute dei cittadini europei – spiega Alessandro Marcon –. La presenza di vegetazione ha evidenti effetti benefici per la salute umana, attraverso meccanismi quali la riduzione dell’inquinamento, del rumore e dell’effetto isola di calore, ma anche promuovendo l’attività fisica e un contesto psicofisico salutare.
Importanti allora progetti quali èVRgreen, collaborazione di ricerca tra il Comune di Verona e l’ateneo, finalizzati alla tutela degli spazi verdi e della biodiversità e alla riqualificazione della vegetazione urbana. La presenza di una ricca vegetazione può avere un impatto benefico anche quando il bambino è nel grembo materno, un periodo critico per lo sviluppo, con potenziali ripercussioni positive sulla salute in età adulta”.
La ricerca
Robin M. Sinsamala dottorando del Centre for International Health del department of Global Public Health and Primary Care di Bergen e Alessandro Marcon del dipartimento di Diagnostica dell’ateneo scaligero, hanno studiato la relazione tra esposizione a inquinanti atmosferici e presenza di spazi verdi nella zona di residenza ed esiti neonatali. Il campione utilizzato è composto da 4286 bambini nati da 2358 madri residenti in 7 città del Nord Europa (Danimarca, Norvegia, Svezia, Estonia, Islanda). L’esposizione è stata stimata usando modelli e dati satellitari sia per l’anno della gravidanza (in utero), sia per un periodo precedente, quando le future madri avevano 20-30 anni (preconcezionale).
Dallo studio emerge che vivere in zone più soggette a inquinamento atmosferico durante la gravidanza si associa a un minore peso alla nascita dei bambini. Le riduzioni del peso alla nascita sono state mediamente di 56g (PM2.5), 46g (PM10), 48g (NO2) e 48g (black carbon) passando da zone di residenza poco inquinate a zone molto inquinate (corrispondente al passaggio dal 25° al 75° percentile nella concentrazione dell’inquinante).
A titolo di esempio, queste stime si traducono in un raddoppio della frequenza di nascite sottopeso (<2500 g) dove la concentrazione media annuale di PM10 è al di sopra della soglia prevista dalle nuove linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla qualità dell’aria (15µg/m3), rispetto a zone in cui la concentrazione è inferiore. In termini assoluti, il numero di nati sottopeso passa da 8 a 14 bambini ogni 1000 nati, passando da zone con una buona qualità dell’aria a zone inquinate.
Le donne che risiedevano in aree più ricche di vegetazione hanno dato alla luce bambini con peso alla nascita in media 27 g maggiore rispetto a zone povere di vegetazione.
Non è stata invece riscontrata una relazione tra esposizioni ambientali e rischio di nascita pretermine. Questo suggerisce che l’effetto delle esposizioni ambientali sul peso alla nascita non sia mediato da un’alterazione della durata della gestazione.
Associazioni simili si sono riscontrate anche per le esposizioni ambientali misurate durante il periodo preconcezionale (diversi anni prima della gravidanza).
Possibili scenari futuri
“La presenza di un rischio di basso peso alla nascita correlato ad esposizioni precedenti alla gravidanza – commentano i ricercatori – quando la futura madre ha 20-30 anni, è in linea con la recente letteratura scientifica, che suggerisce un possibile danno dell’inquinamento, del fumo e di fattori di rischio individuali quali l’obesità, in grado di essere trasmesso da una generazione a quelle successive. La ricerca scientifica si sta focalizzando sui possibili meccanismi di trasmissione intergenerazionale. Tra questi sono state evidenziate le alterazioni epigenetiche, modifiche ereditabili a livello del Dna che non ne alterano la sequenza ma influenzano l’espressione dei geni.
I risultati evidenziano che l’inquinamento atmosferico è dannoso anche a concentrazioni relativamente basse, come quelle del Nord Europa, sottolineando l’urgenza di migliorare la qualità dell’aria nel nostro Paese e in particolare nella Pianura Padana”.
Sara Mauroner