A Verona per uno spettacolo al Teatro romano, Gianrico Carofiglio, invitato a parlare della sua esperienza di scrittore, ha conversato davanti a una platea gremita con Guido Avezzù, preside di facoltà di Lettere e filosofia e Mario Allegri, docente di Letteratura italiana.
Carofiglio e il suo alter ego. “Se cresci con dei genitori come i miei o finisci a fare il serial killer o lo scrittore. A me è andata bene, tutto sommato”. Magistrato, senatore e da alcuni anni anche scrittore di successo, questo è Gianrico Carofiglio. E alla domanda su quanto ci sia di lui nella sua ‘creatura’ letteraria più nota, l’autore risponde così: “Guido Guerrieri è un po’ l’altra parte di me, quella che non oserei tirar fuori come Gianrico”. C’è molto del suo autore nel personaggio che ha ammaliato quasi 3 milioni di lettori. Sì, perché i libri che narrano le vicende di questo avvocato barese hanno stregato l’Europa intera. Un eroe che è un po’ antieroe, un uomo che ama e che cucina – caratteristica questa che ha suscitato l’ilarità delle lettrici presenti in sala – ma anche un personaggio che riesce a dare significato e umanità a Bari, una città ambigua, a cavallo fra il non più e il non ancora.
Quando il magistrato diventa scrittore. Il grande sogno dell’autore, fin da bambino, era di fare lo scrittore. Ma sicuro di non essere portato ha scelto una strada molto diversa, la magistratura. Poi “Una sera d’estate di dieci anni fa, soddisfatto della mia carriera ma sempre in cerca di nuovi stimoli, mi sentivo ispirato e così iniziai a scrivere, di getto, quello che credevo sarebbe stato il mio primo romanzo”. Carofiglio ha raccontato di essere stato così entusiasta del proprio manoscritto da averlo sottoposto subito al giudizio della moglie la quale, perplessa, lo ha freddato dicendogli: “Devo proprio dirti quello che penso?”. Un inizio difficile ma capace di insegnare all' autore quello che sarebbe poi divenuto il segreto del suo successo; l’importanza di scrivere le cose come stanno. “Se il pubblico sente puzza di finzione hai chiuso”, ha spiegato.
Tra realtà e finzione. “Einstein diceva sempre se i fatti non confermano la verità tanto peggio per i fatti”, così Carofiglio ha spiegato il rapporto tra quanto di vero c’è nelle sue storie e l’apparato immaginifico che cotengono. Come nasce l’intreccio tra un uomo che è il suo alter ego e dei casi giudiziari mai veramente accaduti ma tremendamente vicini alla realtà? L’autore ha detto che per raccontare storie di processi e avvocati devi viverci in mezzo, conoscerne le dinamiche. “Altrimenti è come raccontare una storia d’amore senza averla mai vissuta”, ha concluso con un sorriso, fuggendo alle decine di domande che lettrici curiosissime non smettevano di fargli.