Dall’orzo al miglio, dalla birra ai vini retici, apprezzati anche alla corte dell’imperatore, quali cibi e bevande si sono alternati sulle tavole dei veronesi nei secoli e come è cambiato il consumo e la produzione agricola, dalla preistoria fino al Medioevo? Queste le domande al centro del progetto di ricerca di eccellenza, sostenuto dalla Fondazione Cariverona, “In Veronensium mensa. Food and Wine in ancient Verona”, che vede coinvolti archeologi, storici antichi, medievisti e biotecnologi dell’ateneo di Verona, in un approccio metodologico estremamente innovativo e interdisciplinare.
I primi risultati della ricerca sono stati presentati nel corso di una giornata di studi, che si è tenuta venerdì 29 aprile, nella sede dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, partner di questo progetto che è stato coordinato dal dipartimento di Culture e Civiltà dell’ateneo, con i docenti di Archeologia Patrizia Basso, Diana Dobreva, Nicola Mancassola, Mara Migliavacca e Fabio Saggioro, in collaborazione con il dipartimento di Biotecnologie, in particolare Diana Bellin, docente di Genetica agraria, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona, Rovigo e Vicenza, diretta da Vincenzo Tinè, il Museo di Storia Naturale di Verona, il Centro Ambientale Archeologico Pianura di Legnago e l’università di York.
In una città come Verona, ancor oggi vivace mercato agroalimentare, particolarmente celebre nel mondo per la qualità dei suoi vini, sembra di grande interesse, infatti, ricercare le radici storiche della produzione e del consumo di cibo e vino, per cogliere da un lato le continuità e quindi le tradizioni, dall’altro le innovazioni nelle diete degli abitanti nel corso dei secoli e in particolare nelle fasi pre e protostoriche, della romanizzazione, della fine dell’Impero e dell’affermarsi del Medioevo, che segnarono decisivi passaggi economici, sociali e culturali nella vita del centro urbano e del suo territorio.
Le attività di ricerca, iniziate nel 2018, hanno subito una lunga battuta di arresto a causa delle restrizioni imposte dalla emergenza sanitaria, ma nell’autunno 2020 sono finalmente riprese, in una sinergica collaborazione sia con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Verona, Rovigo e Vicenza, sia col Museo di Storia Naturale di Verona e con il Centro Ambientale Archeologico Pianura di Legnago, con cui il dipartimento ha siglato appositi accordi di programma.
“Il punto di partenza del progetto sono stati i reperti archeologici, botanici, zoologici, antropologici, quali manufatti ceramici, vitrei, lapidei, ma anche vinaccioli, semi, carboni, ossa umane e animali, provenienti dai più significativi scavi condotti nel territorio veronese”, spiegano i responsabili del progetto. “È stato adottato un approccio estremamente interdisciplinare e innovativo, utilizzando analisi archeobotaniche e archeozoologiche, per ricostruire quali erano i vegetali coltivati e gli animali allevati per un consumo alimentare, chimiche sui residui dei contenitori, per capire appunto cosa vi si conservava o cucinava, isotopiche sugli inumati, per individuare le diete delle varie epoche storiche, morfometriche e del Dna dei vinaccioli rinvenuti con gli scavi, per identificare le viti domestiche rispetto a quelle selvatiche e ancora più in dettaglio i vitigni coltivati in antico”.
Dai primi risultati è emerso come in età preromana siano avvenuti cambiamenti significativi nell’alimentazione, connessi ai cambiamenti climatici e ambientali anche indotti dall’uomo: per esempio nella media Età del Bronzo la coltivazione e il consumo di cereali quali il miglio e il panico, amanti dei climi aridi, subentrarono all’utilizzo di cereali quali orzo e frumento amanti di un clima più umido. Inoltre, vi fu sicuramente una lunga fase sperimentale per la fermentazione delle bevande, nella quale si produssero birre da cereali quali il miglio. Il consumo di vino è attestato già a partire dalla media Età del Bronzo; negli ultimi secoli dell’età del Ferro, nella provincia veronese alcuni recipienti sono interpretati come specifici per il vino, che era invecchiato in botti.
In età romana, continuò l’ampio uso di cereali, ma anche di frutta, celebre in particolare un frutto caratterizzato da una lanuggine sul corpo, forse una specie di mela cotogna o di pesca, e di verdure, in particolare cavoli, rape e leguminose, di carne e di grassi animali usati in cucina anche per preparare salse secondo nuovi metodi di cottura che si diffusero proprio su modelli romani, delle celebri anguille del Garda, dell’altrettanto celebre miele di Ostiglia. Ma in particolare si diffuse il consumo di vino, per cui dovettero eccellere le aree collinari, tanto che i prodotti del veronese, i vini chiamati retici, erano fra i pochi noti dell’Italia settentrionale, bevuti anche a Roma alla corte imperiale.
Le trasformazioni avvenute tra età romana e Medioevo interessarono tanto l’ambiente, quanto le produzioni alimentari. I dati, ottenuti dalle analisi condotte, mostrano il consumo di carne e cibi bolliti, l’adozione di cotture a riverbero o sulle braci, nonché l’affermarsi della pentola come principale strumento di cottura dei cibi. La coltivazione della vite restò ampiamente diffusa tanto nelle aree collinari, quanto in quelle di pianura e ampio sembra essere stato il consumo di frutta. Sistemi di conservazione e modalità di cottura sono stati riconosciuti e osservati nel corso delle indagini sul periodo medievale e sono stati individuate alcune tipologie di cibi e strumenti per la cucina diffusi nella società contadina, circa un migliaio di anni fa.
“Come per tutte le ricerche, questo è solo un punto di partenza, perché tanto resta ancora da capire su questi temi, che crediamo di grande attualità e interesse, dato che pongono l’accento sulle radici storiche di un presente economico ancora estremamente vitale di questa città”, concludono gli studiosi. “Saranno quindi organizzati altri incontri di studio più specifici e, in futuro, anche una mostra, per raggiungere un pubblico più allargato. Importante, crediamo, sia per ora aver avviato il lavoro, in una fattiva collaborazione fra vari enti e istituzioni che lavorano a Verona e nel suo territorio e nello spirito di un’archeologia storica che si avvale dei più innovativi approcci di analisi, per cercare dietro alle cose (gli strumenti, gli spazi di coltivazione e lavorazione alimentare, i contenitori per la conservazione e il consumo di cibi e vini ecc.) gli uomini che queste cose progettavano, realizzavano e usavano per produrre e consumare cibo e vino in momenti solenni come i banchetti, nei riti funerari, ma soprattutto nella loro vita quotidiana”.
In foto da sx: Francesca Rossi, direttrice dei Musei civici di Verona, Mara Migliavacca, docente di Archeologia pre-protostorica, Fabio Saggioro, docente di Archeologia cristiana e medioevale, Claudio Carcereri de Prati, presidente dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, Patrizia Basso, docente di Archeologia classica, Vincenzo Tinè, Soprintendente SABAP Verona, Rovigo e Vicenza, e Nicoletta Martinelli, museo di Storia Naturale di Verona