La biodiversità è un bene comune che va difeso e protetto, non solo per conservare un ambiente sano con ovvie ricadute sulla salute umana, ma anche perché rappresenta un patrimonio prezioso, tangibile e valorizzabile dal quale si può creare sviluppo economico e sociale. Con questo obiettivo, l’1 luglio scorso, hanno avuto inizio i lavori del primo Centro di ricerca nazionale per la Biodiversità, National biodiversity future center – Nbfc, di cui l’università di Verona è uno degli atenei fondatori, grazie a un finanziamento di 3,5 milioni di euro destinato dal Piano nazionale ripresa e resilienza. Coordinatrice del programma nella sede veronese è Flavia Guzzo, docente di Botanica generale del dipartimento di Biotecnologie.
Il progetto nazionale è imponente: capofila è il Consiglio nazionale delle ricerche, Cnr, con 320 milioni di euro di finanziamento e 1300 tra ricercatrici e ricercatori delle università e degli enti di ricerca nazionali coinvolti, uniti con la finalità di mettere i propri studi al servizio di monitoraggio, conservazione, ripristino e valorizzazione della biodiversità italiana. Per l’ateneo scaligero, Guzzo coordinerà un gruppo di ricerca interdisciplinare – con la collaborazione di Linda Avesani, docente di genetica agraria del dipartimento di Biotecnologie – che vede coinvolti cinque dipartimenti di area biotecnologica, medica e informatica. I componenti del gruppo di lavoro, costituito appositamente per la realizzazione del progetto, lavoreranno fianco a fianco per tutti e tre gli anni utili al raggiungimento degli obiettivi.
L’università di Verona come ateneo promotore e grazie al finanziamento statale, si occuperà di ricerca, concentrandosi sulla flora locale, sulla ricerca di nuove molecole per la prevenzione e la cura di malattie a base infiammatoria e neuro-degenerative e sulla protezione delle piante in agricoltura, oltre alla costruzione di una nuova infrastruttura informatica che assista la ricerca in questi settori. “Per la prima volta in Italia – spiega Guzzo – sarà effettuata dal nostro ateneo un’imponente prospezione di 600 specie vegetali rappresentanti tutte le circa 200 famiglie della flora italiana. La biodiversità vegetale rappresenta, infatti, un’enorme miniera di conoscenza ancora inesplorata: con questa ricerca capillare si intende mettere a profitto una preziosa mole di risorse utile a identificare nuove molecole per la salute umana, la salute degli ambienti agricoli e per trovare soluzioni a problemi umani basate sulla natura”.
L’auspicio è che il progetto condotto dall’ateneo scaligero porti alla costituzione di un centro permanente, con lo scopo di diventare un volano di innovazione e salvaguardia ambientale, ispirando una serie di attività che potrebbero coinvolgere altri aspetti della gestione e valorizzazione della biodiversità.
“Verona – conclude la coordinatrice – potrebbe, quindi, essere coinvolta ad altri livelli in questo programma: pensiamo, ad esempio, al Museo di Storia naturale e al Comune, con cui desideriamo stabilire un dialogo proficuo, tramite progetti volti alla valorizzazione e all’implementazione del verde urbano”.