Isolamento, aggressività, ritardo nell’apprendimento, incapacità di instaurare legami affettivi: sono alcune delle molte facce del disagio sociale, un fenomeno che trae origine da una somma di fattori e che può assumere vari tipi di connotazione. Una condizione difficile da affrontare e da gestire, che colpisce sempre più le fasce fragili della società, a cominciare dai minori. Saper affrontare la condizione di disagio sociale e aiutare a uscirne è un compito complesso che richiede preparazione, esperienza e un approccio che tenga conto delle diverse competenze professionali espresse dalle molte figure che sono a sostegno del minore. In questi casi ruotano attorno a ragazzi e genitori figure quali: assistenti sociali, educatori, coordinatori pedagogici, pediatri, psicologi, neuropsichiatri, insegnanti. Il progetto di ricerca Modelli di Innovazione e Valutazione di Esito nei Servizi scolastici, socio-educativi e socio-sanitari per minori (Mives) è stato presentato a Trento dalle responsabili scientifiche Monica Pedrazza, docente di Psicologia sociale all’università di Verona, e Olga Bombardelli dell’università di Trento. Alla conferenza stampa erano inoltre presenti la responsabile della Direzione per l'integrazione socio sanitaria dell’Apss Paola Maccani, e il direttore generale della Fondazione Caritro Mariano Marroni. Il progetto si propone di superare la frammentazione nell’approccio, che inevitabilmente causa ritardi e limita l’efficacia dell’intervento sul minore con un conseguente aumento di costi sul sistema. L’obiettivo è quello di studiare e mettere in rete gli apporti delle diverse professionalità, per arrivare a formulare un sistema di comunicazione che renda più approfondito e integrato l’approccio di sostegno al minore.
Il progetto, che ha ottenuto un importante finanziamento dalla Fondazione Caritro, è frutto del lavoro sinergico tra il Centro di ricerca nei servizi alla persona dell’università di Verona e il dipartimento di Lettere e filosofia dell’università di Trento. Una collaborazione scientifica intensa che si è allargata ad una serie di partner territoriali – il Centro di ricerca di Psicoterapia (Cerp) di Milano-Trento, il servizio Politiche sociali e il servizio Istruzione della Provincia autonoma di Trento, la Direzione per l’integrazione socio-sanitaria dell’azienda provinciale per i servizi sanitari e il Consiglio per le autonomie locali – che saranno coinvolti nella fase sperimentale. Per realizzare l’ambizioso obiettivo di mettere in rete tutti i professionisti che operano a sostegno dei minori il progetto prevede varie fasi. La prima consiste in una mappatura dei modelli di integrazione delle informazioni e delle pratiche di valutazione dello stato di bisogno, di processo e di esito attualmente in uso presso i servizi che si occupano di minori nella provincia di Trento. Un compito che sarà svolto attraverso focus group esplorativi e questionari on-line che saranno proposti ad assistenti sociali, educatori, pedagogisti e coordinatori dei servizi pedagogici, docenti referenti per gli studenti Bes (con bisogni educativi speciali), personale sanitario coinvolto nei servizi ai minori e al personale del tribunale dei minori di Trento. La seconda fase parte da un approfondimento dei dati raccolti per arrivare, attraverso specifici tavoli di lavoro, alla costruzione di reti virtuose tra le varie figure professionali che operano a livello istituzionale, nel pubblico, nel privato e nel terzo settore. Il progetto si concluderà nel marzo 2015 con lo sviluppo di una banca dati che integrerà gli indicatori di disagio con quelli di benessere dei vari soggetti e che sarà messa a disposizione dei professionisti che operano sul territorio.
I commenti. «La qualità della relazione tra operatori diventa cruciale nel momento in cui si prendono decisioni che riguardano pubblico, utenti o pazienti – spiega Monica Pedrazza, fondatrice e coordinatrice del Crsp – Obiettivo del Crsp è offrire supporto al benessere degli operatori al fine di sostenere la qualità di servizi e le prestazioni. Da rilevare nel progetto Mives, in questo senso, è l’attenzione che viene posta all’identificazione di indicatori di malessere, ma anche di benessere del minore. Da segnalare poi anche l’efficacia di interventi di valutazione costruiti insieme attraverso la collaborazione di tutti i servizi e i professionisti coinvolti». Un punto di vista condiviso anche da Olga Bombardelli: «La nostra è un ricerca dal taglio innovativo che porta ad approfondire la conoscenza delle varie realtà impegnate nel settore e i rapporti fra di esse per rafforzare la collaborazione a vantaggio degli utenti. I bambini e le bambine in condizioni di disagio meritano la migliore attenzione possibile. Spesso si tendono a definire patologie quelle che in realtà sono invece solo delle difficoltà. Il progetto Mives, in questo senso, mira a coordinare gli sforzi, a favorire l’ascolto delle famiglie e la sinergia fra i vari operatori per arrivare alla costruzione di soluzioni condivise valide ed efficaci». «Si tratta di un progetto di elevata utilità – è il commento dell'assessore alla salute e solidarietà sociale della Provincia autonoma di Trento, Donata Borgonovo Re – Mives ci consentirà infatti di verificare gli esiti delle attività svolte dai servizi e dai soggetti che si occupano, in provincia, di minori. È indispensabile un metodo che ci consenta di misurare gli effetti delle azioni condotte, per rimodulare, calibrare o riconfermare i percorsi messi in campo per i minori».
Il contesto. L'obiettivo della riforma del welfare provinciale è quello di dotare la provincia di Trento di un nuovo sistema di politiche sociali in grado di affrontare i nodi e le criticità dell'oggi. A prevenire e monitorare quotidianamente le situazioni di bisogno sociale e i fenomeni di emarginazione sono i servizi socio assistenziali che operano presso ciascuna comunità di valle e nel Comune di Trento. Nelle attività di tutela dei soggetti coinvolti, una delle aree di intervento prioritarie è costituita dal settore minori e famiglie. Tutte le situazioni di disagio, sia famigliare, sia minorile, vengono monitorate dal servizio sociale territoriale. Nello sviluppo degli interventi i professionisti si avvalgono di risorse territoriali, come, ad esempio, i centri che erogano servizi diurni, gli interventi educativi individualizzati presso l'ambiente di vita e il domicilio del minore, i servizi di affidamento familiare e di accoglienza presso comunità residenziali.
14.02.2014