La ricercatrice Cecilia Sideri è tra le vincitrici dell’Università di Verona del nuovo bando del Fondo italiano per la scienza con il progetto “MapNot. Mappare il sapere attraverso i notabilia nell’Umanesimo italiano, tra manoscritti e stampe”. Lo studio, finanziato con 1.321.402,72 euro per una durata di 36 mesi, sarà condotto nel dipartimento di Culture e civiltà dell’Università di Verona.
Dottoressa Sideri, qual è l’obiettivo principale della sua ricerca?
Il progetto MapNot indaga il ruolo dei notabilia nell’Umanesimo italiano, mettendolo in relazione con le pratiche dell’annotare, del raccogliere e dell’organizzare informazioni. Integrando filologia, paleografia e storia del libro, vogliamo capire come questa forma antica e fondamentale di annotazione — inizialmente pensata solo per orientarsi nel testo durante la lettura — si sia trasformata, tra Quattrocento e Cinquecento, anche grazie alla diffusione della stampa, in uno strumento sempre più specializzato per la ricerca, la raccolta sistematica e l’indicizzazione delle parole. In alcuni casi, questa evoluzione ha portato alla creazione delle prime forme embrionali di repertori enciclopedico-lessicali del latino umanistico.
Come si svolgerà concretamente lo studio?
Analizzeremo manoscritti dell’età umanistica, incunaboli e volumi del Cinquecento. L’obiettivo è mappare la presenza dei notabilia e comprenderne la funzione in diverse tradizioni manoscritte e a stampa dei testi latini classici — anche tecnico-scientifici — e delle opere greche tradotte in latino nel periodo umanistico. A seconda delle competenze e del percorso di ciascun membro del gruppo, la ricerca potrà svilupparsi concentrandosi su uno specifico testo, su una biblioteca in particolare oppure su un insieme di quaderni miscellanei, libri appartenuti o annotati da un singolo umanista. Il progetto ha una natura profondamente interdisciplinare e riunisce metodi propri della filologia umanistica, della paleografia e della storia del libro e della lettura.
Che cosa rappresenta per lei ottenere questo finanziamento?
Lo Starting Grant del Fondo Italiano per la Scienza mi ha offerto un’opportunità straordinaria e rara: quella di costruire un gruppo di ricerca indipendente in una fase ancora relativamente precoce della mia carriera e di rientrare stabilmente in Italia dopo due anni trascorsi in un’università all’estero. Tengo a sottolineare che questo progetto nasce anche grazie al sostegno e all’incoraggiamento di alcuni colleghi del dipartimento di Culture e Civiltà, in particolare Paolo Pellegrini, Arnaldo Soldani, Paolo de Paolis e tutti i membri del laboratorio LaMeDan.
In un sistema accademico — e, più in generale, educativo — che spesso valorizza soprattutto il merito del singolo, credo sia essenziale ricordare che una buona ricerca è sempre collaborativa. Una ricerca fiorisce davvero solo quando chi la conduce è disposto a imparare dagli altri e, allo stesso tempo, a trasmettere ciò che sa, con curiosità e apertura. Solo così può nascere conoscenza autentica e possono germogliare nuove avventure intellettuali.
Alla luce della sua esperienza, se dovesse dare un solo consiglio a chi sogna di fare ricerca, quale sarebbe?
Consiglierei di tenere bene a mente che la ricerca è intimamente connessa con la prassi didattica. A mio modo di vedere, in specie nelle discipline umanistiche, l’una non può stare senza l’altra. Fare didattica aiuta a interrogarsi sui problemi di ricerca (a volte anche a risolverli!) considerando punti di vista differenti dal proprio; aiuta a mettersi in dubbio, e dunque a praticare il dubbio metodico e l’umiltà intellettuale, entrambi ingredienti fondamentali della ricerca; contribuisce anche a farsi venire nuove idee. Insomma, si tratta proprio di un circolo virtuoso, ed è quindi bene che chi coltiva il sogno della ricerca abbia voglia di mettersi in gioco non solo nel far progredire la conoscenza, ma anche nel trasmetterla tramite la didattica.
Sara Mauroner


























