È Maria Vender, assegnista di ricerca del dipartimento di Culture e civiltà di ateneo, la protagonista del nuovo video de “La ricerca continua”. Nella puntata Vender presenta la ricercar “How do bilingual dyslexic and typically developing children perform in nonword repetition? Evidence from a study on Italian L2 children” condotta in collaborazione con Denis Delfitto, docente di Glottologia e Linguistica, e Chiara Melloni, docente associato di Glottologia e Linguistica. Il lavoro è pubblicato sulla rivista internazionale “Bilingualism: Language & Cognition”.
“Il nostro gruppo di ricerca – spiega Vender – si occupa da diversi anni di dislessia evolutiva, un disturbo specifico dell’apprendimento che interferisce con l’acquisizione della letto-scrittura. Le nostre ricerche hanno evidenziato come i dislessici abbiano difficoltà non solo nella lettura, ma anche a livello di competenza fonologica e morfologica e nella comprensione e produzione di frasi complesse. Questo non significa però che bambini e bambine con dislessia debbano rinunciare al piacere della lettura e a tutti quegli aspetti della vita culturale, sociale e professionale legati ad essa. È stato infatti ampiamente dimostrato che appropriati interventi di potenziamento e riabilitazione possono essere molto efficaci nel trattamento delle difficoltà di lettura, specialmente se si riesce ad agire il prima possibile. Per fare questo, è quindi fondamentale riuscire ad identificare la dislessia precocemente”.
Secondo Vender questo è un aspetto importante che riguarda non solo i bambini monolingui, e nello specifico bambini che non parlano altre lingue oltre all’italiano, ma anche i bambini bilingui, che hanno imparato l’italiano come seconda lingua. È noto, infatti, che questi bambini possono manifestare delle difficoltà marcate nell’acquisizione della letto-scrittura, soprattutto durante i primi anni del loro percorso scolastico. Le loro difficoltà, però, sono spesso dovute ad una competenza linguistica non ancora pienamente sviluppata e pertanto sono generalmente destinate a riassorbirsi dopo i primi anni di scuola.
La presenza di queste problematiche può quindi rendere difficile un’accurata diagnosi di dislessia evolutiva nei bambini bilingui, con un aumento dei falsi positivi, quando viene diagnosticata la dislessia ad un bambino che in realtà non ne soffre, e dei falsi negativi, quando invece non viene riconosciuto il disturbo in un bambino che ne è affetto. Per integrare il percorso diagnostico è bene affidarsi anche ad altri test linguistici, come la ripetizione di non parole, uno dei più promettenti: viene richiesto al bambino di ripetere una sequenza di parole inventate, sia semplici, come “parce”, che più lunghe e complesse, come “chestangutoldri”. In questo compito, infatti, i bambini dislessici hanno particolari difficoltà rispetto ai coetanei a sviluppo tipico, mentre la prestazione dei bilingui e soprattutto l’interazione fra dislessia e bilinguismo sono state finora poco studiate.
“Con l’obiettivo di colmare questa lacuna – aggiunge Vender – abbiamo quindi sviluppato un test di ripetizione di non-parole, che è stato somministrato a 111 bambini di età compresa fra gli 8 e i 12 anni, sia monolingui che bilingui, con e senza diagnosi di dislessia evolutiva. Questo studio è stato condotto nell’ambito del più ampio progetto Atheme, un programma europeo recentemente conclusosi che ha coinvolto, oltre al nostro gruppo, 16 realtà fra università e istituti di ricerca in tutta Europa, con l’obiettivo di studiare il multilinguismo sotto vari punti di vista. I risultati del nostro studio hanno mostrato che i bambini dislessici, sia monolingui che bilingui, hanno difficoltà marcate nella ripetizione di non parole rispetto ai bambini a sviluppo tipico, ma senza particolari differenze dovute al bilinguismo: i bambini bilingui hanno infatti una prestazione simile a quella dei pari monolingui. Ciò suggerisce che il bilinguismo non peggiora le difficoltà dei dislessici, come spesso si teme, e che va pertanto sempre mantenuto e incoraggiato per i notevoli benefici che può apportare sul piano socio-culturale e professionale e linguistico e cognitivo”.
“Il test che abbiamo sviluppato – conclude Vender – ha inoltre rivelato buoni valori di sensitività e specificità che permettono di identificare con buona accuratezza la dislessia sia in bambini monolingui che in bambini bilingui, indicando che può essere impiegato con successo anche nella pratica diagnostica.”
La ricerca continua all’università di Verona, nonostante l’emergenza Covid.