Luigina Mortari, docente di Pedagogia generale e sociale dell’ateneo scaligero, ha commentato sul quotidiano Avvenire il tema, molto attuale, dei minori in affido.
“La fiducia è un sentimento vitale fondamentale. Avere fiducia significa sentire di poter contare su qualcosa, su qualcuno. Per percorrere quel cammino, più o meno accidentato, che è la vita, sentire fiducia in sé è essenziale, perché fa trovare la forza necessaria. Sentire fiducia è un dono, un dono che ci viene dall’altro.
Quando si nasce, e improvvisamente ci si trova espulsi da quel contenitore liquido che ci tiene raccolti nella materia vivente originaria, a proteggerci dal senso di disorientamento che l’anima patisce è l’abbraccio della madre. Venire nell’abbraccio della madre fa sentire di nuovo accolti, contenuti, e quel tremore che l’anima prova nel venire all’asciutto dell’aria ed esposti alle intemperie del mondo si acquieta. Il pianto del bimbo, che spesso si accende improvviso e lo scuote nel sonno, quel pianto che nessun cibo placa, può essere espressione di quello spaesamento iniziale che si ripete e che un solo cibo può placare: quel nutrimento spirituale che viene dal sentirsi tutto dentro un abbraccio, dal sentire una voce che ti raggiunge e ti fa capire che non sei solo, da quel potersi attaccare al seno che risponde al bisogno di attaccamento all’altro per non sentirsi persi nella solitudine dell’essere.
Per tutto il tempo della vita si patisce il bisogno di quell’abbraccio originario. Nessuno può fare a meno dell’altro. L’amore è quell’esperienza vitale che massimamente risponde a questo bisogno, perché nell’amore vero, quello in cui sente di poter avere fiducia piena dell’altro, si può fare esperienza della fusionalità originaria, di quell’essere tutt’uno, senza confini, con l’essere dell’altro. Sono questi i momenti privilegiati dell’essere.
Che cosa accade a un bambino o a una bambina che sente vacillare l’abbraccio della madre e/o del padre? Che avverte di non sentirsi più al sicuro? Il sentimento della fiducia si indebolisce e si sperimenta la solitudine, il timore di non avere più un luogo proprio.
Nessuna vita mette completamente al riparo da questi momenti, ma essenziale è che non siano di una tale intensità e durata da divenire insostenibili. Ci sono situazioni in cui la fiducia nella vita è a rischio. Quando a un bambino o a una bambina qualcuno, non conosciuto, dice che la mamma e/o il papà non possono più costituire la sua famiglia e che per questo devono andare altrove, in un’altra famiglia che non conoscono, cosa accade nella loro mente? Quali pensieri si affollano e quali emozioni invadono? Quali domande sommergono il pensare? Probabilmente ci si sente come se la terra franasse, si patisce un vuoto, si sente mancare la possibilità di essere tenuti là dove si sé, nel luogo che si conosce, con le voci e i gesti abituali.
Un tremore silenzioso ma fragoroso può prendere la mente, e poi forse tante domande: dove andrò? con chi sarò? cosa mi aspetta? mi vorranno bene? Se il tempo di mezzo fra l’essere nella famiglia originaria e il trovarsi in una nuova dura molto e, poi, se il luogo dove si andrà non sarà percepito come accogliente, la sofferenza diventerà pesante e consumerà l’energia vitale, la fiducia. L’esperienza dell’affido familiare richiede, dunque, il massimo dell’attenzione, il massimo della cura. È necessaria una politica del prendersi cura dell’altro, che deve costruire al meglio le condizioni per far sentire bene chi sta affrontando un passo estremamente difficile della vita”.